Attratta dalla presenza di Tilda Swinton, attrice che amo profondamente, e che per questo film ha ottenuto la candidatura a miglior attrice ai Golden Globe 2002, mi sono accinta alla visione de I Segreti del Lago (The Deep End), classe 2001, codiretto da Scott McGehee e David Siegel, su un soggetto tratto da un romanzo della giallista statunitense Elisabeth Sanxay Holding, Una Barriera di Vuoto (The Blank Wall), pubblicato nel 1947 sul The Ladies Home Journal. Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al 54° Festival di Cannes, il film è un giallo con incursioni nel sociale molto forti e decisamente drammatiche. Supportato da un ottimo cast e da una bellissima location lacustre, merita la visione, anche se non è certamente un capolavoro. Dallo stesso romanzo era già stato tratto, nel 1949, il noir di Max Ophüls Sgomento (The Reckless Moment).

Margaret Hall è sposata con un ufficiale di marina che sta per lunghi mesi lontano da casa, e deve quindi occuparsi da sola dei tre figli e del suocero anziano che vive con lei. Avendo notato strani comportamenti nel figlio maggiore, Beau, la donna indaga e scopre che il giovane è omosessuale ed ha un compagno. Seguendo l’istinto materno, Margaret si recherà così da Darby ed intimerà il giovane a non frequentare più suo figlio, promettendogli una grossa somma di denaro che egli accetta, pur non rispettando i patti con la donna. La sera stessa, infatti, si reca da Beau, ma i due litigano ed hanno una sorta di colluttazione: la mattina Margaret troverà Darby morto, caduto dal pontile direttamente su un’ancora. La donna quindi cercherà di nascondere il cadavere per proteggere il figlio, e tutto sembra andare per il meglio finché un giovane non compare alla sua porta, Alek Spera, che viene a ricattarla: o lei lo pagherà profumatamente, o lui diffonderà un video dove si vedono Beau e Darby che fanno l’amore, puntando quindi i riflettori della polizia direttamente sul giovane. Da questo momento Margaret intraprenderà una vera e propria corsa contro il tempo nella speranza di riuscire ancora una volta a salvare l’amato figlio.

Tilda Swinton, qui poco più che quarantenne, è meno androgina del solito, decisamente femminile e, come sempre, ci regala un’interpretazione impeccabile e priva di sbavature. Il suo personaggio è quello di una mamma che si trova a combattere prima con l’omosessualità del figlio, che non riesce ad accettare, e poi con un male ben più grosso, doverlo difendere dall’accusa di omicidio. Ci si sarebbe potuti aspettare un personaggio costantemente disperato, nel panico, ansioso, ma Tilda porta la sua innata eleganza all’interno del suo ruolo, e dipinge Margaret come una madre che cerca di gestire tutti i problemi senza mai farsi sopraffare dal panico, mantenendo il suo aplomb anche nei momenti più difficili, e trattando con estrema educazione anche coloro che concorrono al suo malessere, da Darby Reese, proprietario del locale per omosessuali The Deep End del titolo originale, al malavitoso Al Spera che, apparentemente senza alcuna pietà, esige dalla donna una somma di denaro altissima in pochissimi giorni. E se Tilda è quindi assolutamente perfetta nel suo personaggio, lo stesso si può dire del suo partner/antagonista Goran Višnjić, che interpreta Spera. L’attore croato, noto soprattutto per aver preso parte alla serie tv E.R. – Medici in Prima Linea, interpreta qui un malvivente che non è poi così male come sembra. Il personaggio di Al Spera è affascinante ed interessante al pari di quello di Margaret Hall, anche lui è combattuto, si trova spesso tra due fuochi, e comincia a provare empatia per la donna che cerca di ricattare. Quelli della Swinton e di Višnjić sono due personaggi tormentati, ma che metabolizzano le loro emozioni ed il loro dolore in maniera singolare: quando, per un momento, le loro labbra arriveranno quasi a sfiorarsi, verrà da pensare che addirittura ci sarebbe potuta essere la possibilità di un qualcosa di più tra loro, eroi di mondi così diversi, ma in fondo così profondamente affini. Nel ruolo, anch’esso complesso e stratificato, di Beau, troviamo il bostoniano Jonathan Tucker, già diretto, all’epoca, da nomi quali Barry Levinson (Sleepers, 1996) e Sofia Coppola (Il Giardino delle Vergini Suicide, 1999). Ricordiamo anche, nei panni del nonno di Beau, e padre di suo padre, il compianto attore canadese Peter Donat, per il quale I Segreti del Lago è la penultima pellicola; lo ricordiamo ne Il Padrino – Parte II di Francis Ford Coppola (1974), Sindrome Cinese di James Bridges (1979) o ancora La Guerra dei Roses di Danny DeVito (1989).

Margaret vive lontana dal marito, ma non è una donna sola: ha il suocero, a cui è legata e che l’aiuta in casa, ed ha tre splendidi figli, per i quali farebbe di tutto. Ma si vede che non è completamente serena, che le manca qualcosa, ma che cosa? Sembra che viva in una sorta di calma apparente per poter nascondere meglio una voragine, un abisso, che scava la sua anima. Sembra molto vulnerabile, ma non lo è. Non si perita a mostrare le sue fragilità, le sue debolezze, perché, in un certo qual modo, sono proprio quelle il suo punto di forza, che apriranno gli occhi a Spera, facendolo ragionare seriamente su cosa sia giusto e cosa sbagliato. Ed anche Spera è un’anima tormentata: fa il criminale per campare, obbedisce agli ordini di un pezzo più grosso di lui, ma non è completamente senza scrupoli, come dovrebbe essere chi segue questa strada, ed in qualche modo il suo destino appare già segnato. Non sembra, ma nelle loro reciproche fragilità, i due, apparentemente così diversi, si ritroveranno anime affini. Ha un cuore poetico questo thriller, fatto di sentimenti puri, incorrotti, che vengono toccati da qualcosa che può macchiarli, rovinarli, ed invece devono essere protetti a discapito di tutti e di tutto.

Splendida la location principale, il bellissimo lago d’acqua dolce Tahoe, che si trova sulle montagne della Sierra Nevada negli Stati Uniti, al confine tra la California ed il Nevada. Margaret vive coi figli in una bella casa sul lago, con pontile, rimessa e barca privata. È lo scenario adatto dove ambientare una storia del genere: il panorama sembra tranquillo, rassicurante, ma dietro alla patina di serenità che ne esce si celano risvolti burrascosi e drammatici come un giovane morto infilzato su un’ancora il cui corpo viene abbandonato proprio nelle acque del lago. Questa condizione geofisica è specchio esatto della famiglia di Margaret, che ella vorrebbe perfetta, nel senso che intende lei, ma che, volente o nolente, ha, come tutte le famiglie, qualche scheletro nell’armadio. Scenari lacustri e trama essenziale ma non trita e ritrita, dolore latente che zampilla da ogni poro, questi, in breve, gli elementi chiave di questo thriller che non passerà certo alla storia ma che si lascia vedere più volentieri di tanti altri.

Forse ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa di più, qualche colpo di scena extra, qualche concatenazione degli eventi un po’ più incalzante, avvincente. Tutto rimane più o meno sempre sullo stesso tono, anche quando le cose si fanno decisamente più drammatiche, ma forse è proprio questo che McGehee e Siegel volevano ricreare, l’apatia dello scorrere di certe vite adagiate, che rimane tale anche nella corsa per la sopravvivenza, con pochi, pochissimi, scossoni rappresentativi. Ecco, quello che manca a I Segreti del Lago è che non risulta mai realmente shockante. Si tratta, piuttosto, di un thriller “da placenta”, come lo ha definito il critico di Film Tv Enrico Magrelli, dove “messa in scena e fotografia avvolgono gli spettatori ed i personaggi in un universo acquatico anche quando l’azione si sviluppa sulla terraferma”. Una madre, con tutte le sue paure nei confronti del futuro del figlio, è il centro di gravità di tutta la vicenda, ed i registi decidono quindi di racchiudere l’intero plot nell’atmosfera ovattata e rarefatta di una sorta di enorme placenta lacustre: Margaret seppellisce il cadavere dell’amante del figlio dentro il grembo materno del lago, come se ella stessa ed il lago fossero speculari l’una con l’altro. Qualche pennellata da thriller hitchcockiano Anni Cinquanta, qualche tocco da noir romantico Anni Quaranta, ed il gioco, per i due registi, è fatto.

Ne consiglio, quindi, la visione, senza grosse aspettative, ma lasciandosi trasportare dal bello che comunque c’è: le incantevoli location, le atmosfere decisamente suggestive, l’ottimo cast. Non è un vero e proprio poliziesco, né un giallo nel pieno senso del termine: le ricerche della polizia, l’indagine sull’omicidio, si stagliano tutte sullo sfondo, occhieggiano appena, il fulcro della narrazione è invece imperniato sui sentimenti, le sensazioni e le reazioni dei singoli protagonisti, proprio come accadeva, appunto, nei noir retrò, quelli Anni Quaranta/Cinquanta. Lasciatevi cullare dalla sottile suspense che aleggia all’alba sulle sponde del lago, immergetevi nelle anime tormentate di Margaret, Spera e Beau, e vedrete che alla fine la visione non risulterà poi così negativa. Un film da scavare, di cui non basta fermarsi alla superficie.

Il film è attualmente disponibile sulla piattaforma Chili ed in dvd Miramax.

https://www.imdb.com/it/title/tt0250323


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