Tiziano Spillari

Fuori tempo massimo è l’album di esordio di Tiziano Spillari. Un concept nel quale è innegabile l’importanza che ha il tempo nella nostra vita e Tiziano lo fa attraverso canzoni che spaziano tra il rock ed il folk.

Come nasce questo tuo primo album Fuori tempo massimo?

Penso che per tante persone come me, il periodo di lockdown sia stato un momento particolare, viste le limitazioni imposte dalla situazione di emergenza sanitaria, ma che abbia in un certo qual modo dato la possibilità a tanti di noi di avere più tempo a disposizione per guardarsi attorno e fare un bagno di realtà, condizione che spesso ci risulta scomoda.

Nel mio caso questa situazione di isolamento forzato ha messo in moto una serie di riflessioni sul presente, sul percorso fatto e sui progetti futuri su quali focalizzare le mie energie. All’inizio ho pensato di arrangiare alcuni pezzi che avevo nel cassetto da tempo e quindi dare loro una struttura definitiva. Quasi subito però, durante la lavorazione di arrangiamento, mi sono reso conto che mi giravano in testa idee musicali nuove. Il flusso creativo mi distoglieva da quel materiale se pur buono ma nato in un altro contesto ed il nuovo aveva urgenza di prendere forma. Da quel momento è stata una corsa creativa che si è concretizzata in una trentina di canzoni di generi diversi alcune delle quali avevano un tratto comune: il rapporto che abbiamo con il trascorrere del tempo, l’inconsistenza di un tempo assoluto e la percezione soggettiva dello stesso. Ragionavo sul tempo nostalgicamente perduto. Quello guadagnato a fronte di un vissuto ansiogeno e persecutorio. A volte sprecato o gettato come fosse in abbondanza . Tutto il progetto nasce da ticchettio di un piccolo tarlo su una trave di casa. Un piccolo indizio che fa nascere un idea.

Raccontaci del tuo percorso formativo, spazi dalla musica classica al rock. Quali sono i tuoi punti di riferimento?

Da bambino mi regalarono una armonica a bocca con la quale ad orecchio suonavo le canzoni che sentivo per radio avevo anche una notevole passione per il fischio con il quale ero in grado di inventare melodie per ore. Mia madre persona accorta mi ha aperto le porte della musica vera iniziandomi al pianoforte iscrivendomi alla Scuola Ceciliana di Musica Sacra che preparava gli allievi al pianoforte e all’organo liturgico, al canto gregoriano oltre che dare solide basi teoriche e armoniche. In seguito mi sono avvicinato alla musica cantautoriale imparando a suonare la chitarra da autodidatta. Successivamente ho militato in alcune band come pianista suonando rock ‘n roll blues. Avevo vent’anni negli anni ottanta e i synth erano alla portata di tutti e davano adito alla ricerca di nuove sonorità. Considero a musica di formazione quella degli anni ‘70-’80 quello che era considerato il rock progressivo in genere. La passione per i musical americani mi ha avvicinato allo swing e quindi ad approcciare le armonizzazioni jazzistiche. Ho realizzato anche in passato musiche per teatro di burattini e canzoni per bambini che forse in un prossimo futuro pubblicherò. Come si capisce sono aperto a farmi influenzare ad utilizzare un ampio spettro di forme ed espressioni musicali. Riguardo al rap la penso come Bruce Willis nel film “Duri a morire” quando il cattivo di turno gli dice “Voglio vederti soffrire” e lui risponde “Per questo basta un rap” lo comprendo come espressione di un movimento di sottocultura urbana ma non lo considero oggetto di interesse .

Nel disco è presente un ricordo di tuo padre in Una risposta nel vento…ti va di raccontarci qualcosa in più?

Mio padre è stato per tanto tempo un assente desiderato. Un lutto non del tutto elaborato vissuto nell’età dove le figure paterne contano perché hanno il ruolo importante di porre i figli in relazione con la società e comprenderne le dinamiche. Così si finisce per mitizzarne il ricordo rafforzando il sentimento di dipendenza. Il rapporto figliale implica nella fase adolescenziale la conquista della propria autonomia, la separazione dall’ombra del padre, attraverso un processo di ricerca identitaria che spesso avviene non priva di contrasti. Nel mio caso il rito di passaggio obbligato che apre la strada all’età adulta è mancato e le domande sono rimaste sospese nel vento cosi come le possibili risposte. Il brano in chiusura valuta oggettivamente che la mancata elaborazione del lutto ha mantenuto vivo un legame che ora va sciolto e lasciato a collocarsi nella pur sofferta accettazione del normale corso della ruota della vita.

Un pensiero sulla discografia italiana di questi ultimi anni?

Questa è una domanda a cui mi è difficile rispondere perché è da tempo che non ascolto musica italiana. Mi riconosco comunque nel genere cantautore che ho sempre ascoltato tanto in passato.

Un’ultima domanda, ti sei mai sentito “fuori tempo massimo”?

Vista la mia età è lecito pensare che sia un po’ tardi per immaginare una carriera nel mondo della musica di consumo e quindi sia facile associare il mio tardivo exploit canoro al titolo dell’album . Alla tua domanda comunque rispondo si, ma è un bel sentire. Io sono stato per buona parte della mia vita uno sportivo e lì vige la regola finché ce ne si va. Inevitabilmente però capita a volte di trovarsi fuori tempo massimo perché si dato troppo al momento sbagliato o è arrivato il momento di passare il testimone. Quando si è fuori tempo massimo si può alzare la testa e lo sguardo così spaziare e cogliere aspetti del proprio percorso ai quali non si era data la giusta rilevanza. Da ragazzo era un punto di onore dimezzare i tempi che il CAI indicava sui sentieri di montagna, ma ho imparato ad apprezzarne la bellezza, quando ho cominciato a sentire la fatica a salire e rallentando il passo ho iniziato a guardarmi attorno. Penso che in realtà non siamo mai fuori tempo massimo se coltiviamo interessi diversi con spirito positivo e curiosità.

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