Fabrice Pascal Quagliotti, mente elettronica e tastierista dei Rockets, è una figura leggendaria della musica degli anni ’70 e ’80. Con il suo talento e la sua visione, ha contribuito a creare il sound futuristico e l’immagine iconica della band, caratterizzata da look argentati e atmosfere cosmiche. Entrato nei Rockets nel 1977, dopo aver studiato organo al Conservatorio di Parigi dall’età di tredici anni, Quagliotti ha lasciato un’impronta indelebile con brani come *On the Road Again*, *Galactica* ed *Electric Delight*.

Oggi, unico membro originale rimasto, continua a portare avanti l’eredità dei Rockets con nuovi progetti e una carriera solista che spazia tra generi diversi, come dimostrano gli album *Parallel Worlds* e *Undo*. In questa intervista esclusiva, Fabrice racconta i momenti salienti della sua carriera, le influenze, le sfide e i progetti futuri, tra cui il recente album *The Final Frontier* e il tour del 2025.

Fabrice, sei nei Rockets dal 1977, un viaggio lungo quasi mezzo secolo. Qual è il ricordo più vivido dei primi anni della band e come si è evoluto il tuo ruolo nel tempo?

Il ricordo più vivido è il mio primo incontro con i Rockets. Avevo i capelli lunghi, ero un giovane rocker, e quando sono entrato nello studio Decca a Parigi, mi sono trovato davanti questi “pelatoni” con un look strano che mi guardavano in modo curioso. Mi sono chiesto: “Vado avanti o mi fermo qui?”. È stato un momento cruciale, il punto di partenza di tutto. All’inizio, a diciannove anni, ero il più giovane in un gruppo già formato da due o tre anni. Ho dovuto fare la gavetta, seguendo le indicazioni degli altri. Ma la svolta è arrivata subito: due giorni dopo il mio ingresso, ero in studio con il batterista Alain Groetzinger e il nostro produttore Claude Lemoine, che propose di fare una cover di *On the Road Again* dei Canned Heat. Io e Alain ci siamo guardati perplessi, pensando: “Cosa c’entra con la nostra musica?”. Eppure, ho preso il mio MiniMoog, ho trovato la sequenza giusta e da lì è partito tutto. Claude ha visto qualcosa in me, e dopo un anno ero già pienamente integrato. Col tempo, il mio ruolo è diventato centrale: oggi sono il leader della band, custode della sua storia e del suo sound.

Gli anni ’70 e ’80 hanno consacrato i Rockets come pionieri dello space rock. Quali elementi di quell’epoca credi abbiano ancora un impatto sul pubblico di oggi?

Il nostro sound non invecchia. L’uso del vocoder, le sonorità elettroniche e l’immagine spaziale continuano a influenzare artisti e pubblico. Negli anni ’70 e ’80, i Rockets erano un’esperienza totale: musica, look e spettacoli live con laser, fumi e scenografie futuristiche. Questo mix di suono e immagine crea ancora un forte impatto emotivo, perché trasporta le persone in un altro mondo, un po’ come se la musica fosse registrata da extraterrestri. È un concept che resiste al tempo, e lo vediamo nel modo in cui i fan, anche i più giovani, rispondono ai nostri concerti.

Quali band o artisti contemporanei, come i Daft Punk che spesso vi citano, ritieni abbiano raccolto il vostro testimone nello space rock o nell’elettronica?

Senza dubbio i Daft Punk. Il loro produttore, il padre di Thomas Bangalter, era spesso nel nostro studio e ha ammesso di essersi ispirato ai Rockets, sia per il sound che per l’immagine. I loro caschi, per esempio, richiamano quelli che usavamo nel 1976, quando non ci rasavamo ancora i capelli ma indossavamo caschi da moto. Poi solo uno di noi non si rasò: Bertin Hugo il tastierista che quindi rimase col casco. La differenza sta nel fatto che loro hanno usato loop e ritmiche più moderne, arrivando al momento giusto per il grande pubblico. Noi, invece, eravamo in anticipo di almeno vent’anni. Ma la strada tracciata, quella del vocoder e di un’elettronica con un’immagine forte, è la stessa.

Nel 2013 hai affrontato una controversia legata a un presunto furto di dischi d’oro. Come hai vissuto quel momento e cosa ti ha insegnato sull’importanza della tua immagine pubblica?

È stato uno dei momenti più bui della mia vita. Essere accusato ingiustamente da un giudice che cercava visibilità, lo stesso che aveva coinvolto altri personaggi noti come Fabrizio Corona, è stato devastante. I ladri avevano rubato i miei dischi d’oro e di platino, ricordi preziosi che non puoi rifare, perché non sarebbero più gli stessi. Pensavano fossero d’oro vero, ma per me avevano un valore emotivo immenso. Poi, essere accusato di aver simulato il furto è stato un duro colpo. I giornali hanno amplificato la vicenda, ma quando ho vinto la causa, la notizia è passata quasi inosservata. Per quindici, venti giorni, mi vergognavo a uscire di casa, sentivo gli occhi della gente su di me. Ho speso tanto in spese legali, senza mai essere rimborsato. Questa esperienza mi ha insegnato quanto sia fragile l’immagine pubblica e quanto sia importante proteggersi da accuse infondate. Non lo auguro a nessuno.

Nel 2023 esce *Time Machine*, un album di cover di brani leggendari come *Walk on the Wild Side* di Lou Reed, *Sex Machine* di James Brown e due canzoni italiane di Alberto Camerini e i Pooh. Com’è stato accolto questo progetto dai fan?

*Time Machine* è nato con l’arrivo del nostro nuovo cantante, Fabri Kiarelli, presentato dal chitarrista Gianluca Martino. Parlando con il nostro discografico Roy Tarrant, abbiamo deciso di fare un album di cover, una sfida che grandi artisti hanno affrontato. È stato un progetto complesso: una cover deve rispettare l’originale ma anche trasformarlo. Il risultato è stato accolto molto bene dai fan, con oltre due milioni di stream su Spotify. *Walk on the Wild Side* è stato un capolavoro, e anche *Robot* di Alberto Camerini, che abbiamo registrato con lui in studio, è diventato una bomba. L’unica canzone che ha diviso un po’ è stata *Piccola Katy* dei Pooh, perché è lontana dal nostro DNA, anche se l’abbiamo resa molto rock. Persino Francesco Facchinetti ne è rimasto entusiasta. È un album di cui sono orgoglioso.

Nella tua carriera solista, con album come *Parallel Worlds* e *Undo*, hai collaborato con artisti come Frédéric Rousseau. Quali influenze o aspirazioni hai tratto da queste esperienze?

La mia carriera solista nasce dal desiderio di esprimermi senza i vincoli del sound dei Rockets. Passo dalla musica classica al pop, dall’elettronica a sonorità cinematiche, senza limiti. Con Frédéric Rousseau, mio amico d’infanzia, la collaborazione è stata naturale. Ci conosciamo dai tempi della scuola materna, è come un fratello. Per *Parallel Worlds*, gli ho mandato un brano, *Friends*, che ha arrangiato, e lui mi ha inviato *Strange Loop*, su cui ho lavorato io. È stato un gioco di scambio creativo. In *Undo*, ho collaborato con artisti internazionali: un cantante marocchino, un percussionista iracheno, un giovane francese, una londinese e una canadese. Ora sto lavorando al mio terzo album solista, con una collaborazione con una cantante lirica russa, che porterà qualcosa di unico. Queste esperienze mi permettono di esplorare mondi diversi e di crescere come musicista.

Guardando indietro, c’è un momento nella storia dei Rockets che cambieresti o di cui sei particolarmente orgoglioso?

Non cambierei quasi nulla, ma ci sono due cose che rifarei diversamente. La prima è la rottura con il nostro produttore Claude Lemoine. Aveva difetti, come tutti, ma era un visionario. Invece di chiudere con lui, avremmo potuto trovare un nuovo accordo. La seconda è il mancato successo internazionale. Eravamo i Kiss dell’elettronica, ma abbiamo perso un’occasione importante per conquistare il pubblico estero. Di cosa sono orgoglioso? Di tutto il resto, soprattutto del nostro contributo unico al mondo della musica. Un rimpianto personale è la perdita di Alain Maratrat, il nostro chitarrista, con cui avevo ancora tanto da fare. La sua chitarra in *Cosmic Castaway* su *The Final Frontier* è un ricordo prezioso che porterò sempre con me.

Il 31 ottobre 2024 esce *The Final Frontier*, un titolo che potrebbe suggerire una conclusione. È davvero l’ultimo capitolo per i Rockets o ci sono altri progetti all’orizzonte?

*The Final Frontier* è, per me, il miglior album dei Rockets dopo *Galaxy*. È completo, curato nei minimi dettagli, grazie al lavoro del nostro ingegnere del suono Michele Violante e alla sinergia con Fabri Kiarelli e il resto della band: Rosaire Riccobono al basso, Gianluca Martino alla chitarra e il nuovo batterista, che ha sostituito Eugenio Mori, impegnato emotivamente con Franz e lavorativamente con la PFM. The final frontier è anche un album degli Iron Maiden, quindi Iron e star Trek, rock e futuro elettronico. Il titolo richiama appunto *Star Trek* e l’idea di esplorare nuovi pianeti, non di finire un viaggio. Non è la fine dei Rockets, ma un nuovo inizio. L’album ha aperto porte importanti, come il nostro primo tour teatrale invernale con l’agenzia TubeMusic ( agenzia di artisti alternativa), che ci ha portato a Torino, Milano, Genova, Udine, Pescara, Roma e Firenze.

Quest’estate saremo in tour: il 1° agosto a Trieste, il 15 a Finale Ligure, il 21 a Montefalco in Appennino, il 29 vicino a Bergamo a Trescore,

e stiamo lavorando a un tour invernale a Bologna Trento, Ancona e Pescara. Abbiamo anche un’equipe fantastica, con il nostro laserman Andrea Vesentini e il service Play Group. Parallelamente, sto lavorando al mio terzo album solista, ma i Rockets continueranno. Lunga vita ai Rockets!

Fabrice Quagliotti incarna lo spirito visionario dei Rockets, una band che ha saputo unire musica, immagine e spettacolo in un modo unico. Con *The Final Frontier* e i progetti futuri, dimostra che il viaggio cosmico della band è tutt’altro che finito. Tra ricordi argentati, sfide superate e nuove esplorazioni musicali, Quagliotti continua a guidare i Rockets verso nuove frontiere, mantenendo vivo il loro suono inconfondibile.


4 risposte a “TRA SPAZIO, SUONO E INNOVAZIONE: IL VIAGGIO DI FABRICE PASCAL QUAGLIOTTI”

  1. Avatar Annovazzi Daniele
    Annovazzi Daniele

    Come Amministratore del Fan club ufficiale dei Rockets non posso che farvi i complimenti per questa bella intervista.
    Domande fatte da chi ha seguito e soprattutto sta seguendo il nuovo percorso dei Rockets.

    1. Avatar DIRETTORE

      Daniele sono contento che l’intervista ti sia piaciuta!

    2. Avatar Giulia

      È stato un onore, Fabrice è una bella persona, gentile e disponibile

  2. Avatar Andrea
    Andrea

    Fabrice e’ un artista compito e un uomo onesto. Traspare chiaramente da questa bella intervista. Lunga vita ai Rockets e Fabrice Quagliotti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Plugin WordPress Cookie di Real Cookie Banner
Verificato da MonsterInsights