Il 26 Settembre 1985 i lupi mannari di Neil Jordan portavano nelle sale cinematografiche italiane i pruriti adolescenziali di Cappuccetto rosso. Avvenimento cinematografico del 1984 in Inghilterra, In compagnia dei lupi si apprestava ad incantare il resto d’Europa e oltre. Merito senza dubbio dell’erotismo allusivo e delle atmosfere perturbanti che lo pervadono.
Tratto da un racconto di Angela Carter e sceneggiato dalla stessa insieme al regista, In compagnia dei lupi è una rilettura adulta della fiaba, intesa a portarne a galla gli intenti psicanalitici e l’immancabile morale. Il film si risolve infatti in un monito ai giovani, affinché non devino dalla retta via e obbediscano alle raccomandazioni degli adulti. D’altronde, chi conosce bene la fiaba di Cappuccetto rosso sa che nessuno corre a salvarla dal lupo.
Rosaleen è una graziosa ragazzina che passa le giornate sospesa tra sogno e realtà. Vive in un fiabesco microcosmo settecentesco, immerso in fungaie malsane e boschi tenebrosi che affondano le radici nelle pulsioni sessuali dell’adolescenza e in tutti i pericoli insiti nella crescita. E in questo folto groviglio i pericoli sono simbolicamente rappresentati da un inquietante bestiario: i lupi hanno sbranato la sorella maggiore che si era addentrata nella selva boschiva perdendo la retta via, e la ragazzina viene dunque messa in guardia dalla nonna, che, per proteggerla, le confeziona una mantellina rossa. Quel corpo che sta sbocciando come un fiore deve essere nascosto agli occhi indiscreti della gente del villaggio, e lei deve ancora imparare a distinguere il bene dal male, deve capire che, più dei lupi veri, sono pericolosi quelli malandrini, “con il pelo dentro”, i seduttori melliflui che vogliono metterle le mani addosso e far cadere il suo sangue rosso sulla neve bianca.
Mentre i moniti della nonna si susseguono sotto forma di macabri racconti, Rosaleen cresce, matura e inizia a compiere il proprio cammino, che scandirà il passaggio tra l’essere bambina e il diventare donna, così come la rosa bianca, che sbocciando si tinge di rosso. Ora, con indosso la mantellina, inizia ad atteggiarsi ad adulta e a raccontare a sua volta delle storie di amori traditi, di vendetta, di potere; fino a quando diventa lei stessa protagonista di una fiaba tutta sua, in cui, incontrando il vero pericolo, si vede più interessata a scoprire la propria sessualità che a sfuggire al lupo.
In questo svolgimento apparentemente caotico il regista ci cala in un universo fantaorrorifico dove mescola su celluloide raffinati simbolismi e atmosfere lugubri, lasciando fiorire le citazioni ai classici Universal anni Trenta, a Biancaneve e i sette anni della Disney, alle fantasie dei registi Jean Cocteau e Carl Theodore Dreyer. E, per realizzare magicamente il tutto, si avvale delle straordinarie scenografie di Anton Furst (ha lavorato anche in Batman di Tim Burton), ricreate in interni e scolpite nel poliestere da Steve Simmons e Eddie Butler, della stupenda fotografia di Bryan Loftus, e degli effetti speciali di Christopher Tucker.
Veterano dell’industria inglese (ha lavorato per il make-up di The elephant Man, Guerre stellari, La guerra del fuoco, Dune), Tucker ha realizzato una serie di trasformazioni e metamorfosi licantropiche che brillano per inventiva e capacità tecniche. Lontano dai tempi in cui Jack Pierce incollava per ore ed ore peli al viso di Lon Chaney Jr, In compagnia dei lupi ci propone visi scorticati, tendini nudi, muscoli spellati, crani che si deformano e petti che si incespicano. Dopotutto erano gli anni in cui i licantropi andavano di moda, e fra pellicole del calibro di Un lupo mannaro americano a Londra, L’ululato, Wolfen la belva immortale, si è innescata una sorta di competizione tra chi realizzava gli effetti speciali più realistici e paurosi. Ma la favola nera di Jordan non ha nulla a che vedere con le storie horror di Landis, Dante e Wadleigh e il suo obiettivo principale è quello di portare in superficie il contenuto latente delle care vecchie fiabe.
In Inghilterra In compagnia dei lupi ha battuto al botteghino E.T. – L‘extraterrestre di Steven Spielberg, merito anche delle caratterizzazioni degli interpreti, che si confanno a perfezione a quell’universo nebbioso di ululati, musi pelosi e zanne. La giovanissima esordiente Sarah Patterson, pur priva di esperienza recitativa, sa vibrare di intensa sensualità e ben figura di fianco alla “signora in giallo” Angela Lansbury, che interpreta una nonna vagamente sinistra e stregonesca. Il cacciatore è il ballerino Micha Bergese, che sembra una anticipazione del vampiro Lestat interpretato da Tom Cruise in Intervista col Vampiro, sempre di Jordan, con cui condivide i modi, le espressioni, l’abbigliamento e l’ambiguità. Il padre di Rosaleen è David Warner, che con la licantropia aveva già avuto a che fare in Providence di Alain Resnais. Qualche anno dopo, nel 1987, è tornato nel ruolo paterno per il film fantastico Hansel e Gretel, ma la sua filmografia è ricca di cult e kolossal come Il presagio di Richard Donner, Titanic di James Cameron e Planets of the Apes – Il pianeta delle scimmie di Tim Burton. Nel 1993, tra l’altro, ha partecipato al lungometraggio italiano Piccolo grande amore di Carlo Vanzina.
Curiosità conclusiva: tra attori in carne e ossa e irsuti personaggi sovrannaturali, nella cameretta di Rosaleen appare anche, in mezzo a pizzi e bambolotti, la stupenda e iconica illustrazione di Gustave Doré in cui Cappuccetto rosso è a letto con il lupo.
Le ultime due immagini presenti in questo articolo provengono dai periodici Ciak, Radiocorriere Tv e Tv sorrisi e canzoni.
Daniela Asmundo
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