UN MAGICO E GENEROSO GRIGORY SOKOLOV

Fino ad alcuni anni fa dicevo di studiare sei ore al giorno ma poi ho capito che non é vero: effettivamente sono dodici, perchè la musica continua a crescere nella mia mente anche adesso”.

“Non credo ci sia un collegamento fra quello che accade all’esterno ed il mondo interiore di un grande artista. Per me la musica non é una professione ma la vita stessa”.

Sono alcune delle espressioni attribuite a Grigory Sokolov, uno degli eredi della pianismo epico della scuola russa, definito da più parti “il più grande pianista dei nostri tempi”.

E’ tornato a Pesaro dopo alcuni anni, ospite della 55a stagione concertistica organizzata dall’Ente Concerti, presieduta da Guidumberto Chiocci (direttore artistico é il celebre sassofonista Federico Mondelci).

Chino sulla tastiera nella splendida cornice dell’Auditorium Pedrotti, senza trasmettere alcuna apparente emozione, ha incantato la platea iniziando con

la Partita n. 1 in Si maggiore di Bach, proseguendo con la Sonata n. 7 in Re maggiore (op. 10 n. 3)
 di Beethoven e terminando con la Sonata in la minore (op. 143) e Sei Momenti Musicali (op. 94) di Schubert .

Terminando? Non é certo la parola giusta: qui é iniziato un vero e proprio concerto nel concerto. Complice la platea che applaudiva senza interruzione per non lasciarlo andar via, Sokolov – generosissimo – ha concesso 6 bis di cui 5 pezzi di Chopin.

Quello dell’ esibizione é un momento privilegiato per il pianista russo che non ama registrazioni in studio ma solo dal vivo: “Trovo i concerti più naturali, non solamente per il rapporto con il pubblico, ma perché si crea dentro me uno stato d’ animo particolare, che non posso definire” – ha più volte dichiarato.

I suoi gusti musicali? “Mi piace tutto, ma detesto Liszt e Wagner. I motivi per cui tanti li amano sono gli stessi che me li rendono lontani“.

Sokolov – che vive a San Pietroburgo dove é nato nel 1950 – non va quasi mai ai concerti, perché “é raro che ci siano artisti che valga la pena di ascoltare. I miei interpreti preferiti sono morti: Emil Gilels, Glenn Gould, Sofronitsky, Horowitz, Rachmaninov“. Tra tutti predilige  Anton Rubinstein, il grande compositore e pianista morto nel 1894, che fondò il Conservatorio della sua città : “Non l’ho potuto mai ascoltare perché non esistono incisioni, ma sono rimasto sempre affascinato dalla sua personalita’ e dalla sua vita artistica, entrambe incredibili”.

L’amore per la musica nasce presto nella sua vita: “Quando da bambino  sentivo in strada l’eco di un pianoforte, rimanevo paralizzato e per i miei genitori era difficilissimo portarmi via”– racconta.

Ha iniziato a suonare a 5 anni e poco dopo é stato ammesso al Conservatorio della città. Ha debuttato in pubblico a 12 anni ed a 16 anni si é iscritto al Concorso internazionale Čajkovskij  di Mosca, il più arduo e prestigioso di tutte le Russie, allora Unione Sovietica: primo premio dalle mani del presidente della giuria Emil Giles, altro grande pianista.

Da lì decolla una grande carriera internazionale che lo porta a suonare   con le maggiori orchestre mondiali (tra cui Philharmonia Orchestra, Concertgebouw di Amsterdam, New York Philharmonic, Gewandhausorchester Leipzig, Filarmonica della Scala, Flarmoniche di San Pietroburgo e di Mosca, Münchner Philharmoniker, Montreal Symphony Orchestra, Detroit Symphony Orchestra) e con più di duecento direttori, tra cui Valerij Gergiev, Neeme Järvi, Trevor Pinnock, Myung-Whun Chung, Andrew Litton, Walter Weller, Herbert Blomstedt, Evgenij Svetlanov, Aleksandr Lazarev).

Da vari anni ha diminuito sensibilmente la sua attività con orchestra, concentrandosi su recital solistici con un repertorio ampio e diversificato che si estende dal Settecento ai contemporanei, da Bach a Beethoven, Brahms, Schumann, Schubert fino a Rachmaninov, Skrjabin e Prokofiev

Schivo e inavvicinabile, la sua completa dedizione al pianoforte lo ha fatto diventare fin da subito uno dei pochi incontrastabili re della tastiera:

“Suonare é banale, farlo bene é molto difficile…C’è solo il pianoforte nella mia vita. Suonare è l’unica cosa che mi interessa davvero”.

Paola Cecchini