Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri

Nel 1969 viene presentato in concorso al Festival di Berlino, dove vince l’Orso d’Argento, il sesto, visionario lungometraggio del regista romano Elio Petri, Un Tranquillo Posto di Campagna, che vede come interpreti Franco Nero e Vanessa Redgrave, allora una coppia anche nella vita. Ambientato in Veneto, è stato girato tra le province di Vicenza e Padova, utilizzando quelle ville venete che tanta parte hanno avuto ed avranno nella storia del cinema italiano a causa della loro altisonante bellezza e dell’alone di mistero che sempre le contraddistingue. Il film è un’astuta contaminazione di generi che vede avvilupparsi insieme con estrema organicità il drama, il thriller ed anche l’horror di matrice soprannaturale, la ghost story per intendersi. Considerando che stiamo parlando di una pellicola del 1968 non si potranno non notare alcune trovate che la rendono assolutamente visionaria, riuscendo così Petri a portarci all’interno della mente disturbata del protagonista, facendoci parte integrante dei suoi incubi e delle sue visioni, della sua scontentezza, del suo essere succube di una compagna che lo tratta come un figlio minorato più che come l’artista di talento che lui in realtà è. È un film introspettivo, di rara bellezza e di rara forza espressiva, le cui immagini rimangono dentro a lungo, latenti in un angolo della mente, e vengono analizzate anche ben dopo la visione. La sceneggiatura fu firmata a 6 mani dallo stesso Petri insieme ai due famosi sceneggiatori Tonino Guerra (Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, Matrimonio all’Italiana di Vittorio De Sica) e Luciano Vincenzoni (Per qualche Dollaro in più di Sergio Leone, Il Mercenario di Sergio Corbucci), basandosi su un racconto dello scrittore inglese Oliver Onions, e le musiche furono firmate da Ennio Morricone e dai Nuova Consonanza, una sorta di anticipatori dei successivi Goblin che sarebbero esplosi di lì a poco con Profondo Rosso.

Il pittore Leonardo Ferri è in piena crisi creativa, con disappunto della compagna Flavia che è anche la sua manager. L’uomo è tormentato da incubi ricorrenti in cui viene ucciso proprio dalle mani della compagna, che, per altro, è una donna altezzosa e molto snob, dell’alta società, e passa le giornate a contare i soldi ed i profitti, concedendo a Ferri solo una misera paghetta come si fa coi bambini. L’uomo, visibilmente infelice, decide così di spostarsi a lavorare in una villa isolata, lontana da Milano, dove spera di ritrovare la propria vena creativa, e poter dipingere in tutta tranquillità, senza nessun genere di disturbo o rumore che in quel momento sembra tormentarlo. Sebbene gli venga proposta la lussuosa dimora di un amico del suo gallerista, Leonardo resta affascinato da una villa abbandonata e disabitata da anni, e decide di trasferirsi lì da solo per alcuni mesi. Frequentando il paese limitrofo scopre che in quella casa abitava una bellissima contessina veneziana, Wanda, dai facili costumi e dalla lussuria sfrenata, che rimase uccisa proprio lì durante un bombardamento aereo i cui segni sono ancora visibili sui muri di cinta. Da quel momento il pensiero di Wanda diverrà una vera e propria ossessione per il pittore, che si convincerà del fatto che lo spirito della giovane dimori ancora nella villa, e che sia ostile alla sua fidanzata Flavia, alla quale accadono fatti sempre più strani ogni qual volta si reca a trovarlo. Dopo una seduta spiritica all’interno della casa le cose cominceranno ad apparire più chiare, ed il posto di campagna tanto ambito non si rivelerà poi così tranquillo.

Nel ruolo di Ferri troviamo l’allora ventisettenne Franco Nero, che all’epoca era già strafamoso per aver lavorato con artisti del calibro di Antonio Margheriti, Sergio Corbucci (quel Django che gli diede fama internazionale nel 1966), John Huston (per il quale interpretò Abele ne La Bibbia del 1966), Lucio Fulci, Damiano Damiani. Con i suoi occhi di ghiaccio perforanti, Nero viene affiancato sul set a un vero pittore piuttosto stravagante, dal quale cerca di cogliere i dettagli che gli servono per interpretare al meglio il personaggio di Ferri. Ne esce un artista talentuoso ma incapace di autogestirsi, dipendente, quasi come un figlio dalla madre, dalla sua compagna Flavia, insicuro, insoddisfatto, desideroso di voler camminare con le sue gambe ed esprimere se stesso senza filtri, ma totalmente incapace di farlo. Nella prima scena Flavia lo troverà legato con delle corde a una sedia nel loro attico milanese che lui usa come studio: è un’evidente metafora del rapporto di sottomissione che lega i due amanti, nel quale lei domina tutto, anche l’estro e la creatività del geniale pittore, dal quale spera di spremere più guadagni possibili. Nel ruolo dell’algida Flavia troviamo l’allora compagna di vita di Nero, l’attrice londinese Vanessa Redgrave. I due riescono a dare vita in maniera convincente ad una coppia nella quale non entrambi i membri hanno lo stesso peso, un rapporto quasi di sudditanza, in cui il carattere forte della donna la porta a primeggiare nettamente sull’uomo fino a farlo scappare alla ricerca di un fantasma, di un’illusione, di un desiderio represso, anche di natura sessuale, perché anche a letto non è mai lui che comanda. Non c’è ombra di passione in questa coppia, solo interesse, da una parte e dall’altra, anche se, forse, un reprimendo amore nascosto da qualche parte c’è. È molto bello il modo in cui Petri riesce a tratteggiare in maniera tutt’altro che convenzionale questa coppia di amanti, che stanno insieme nonostante tutto ma non sono mai insieme veramente, anima e corpo.

È un film senz’altro sperimentale, Un Tranquillo Posto di Campagna, un pop-horror strano, non lineare, che rimbalza continuamente tra realtà e suggestione, che ci disorienta, ci fa perdere la strada, ci confonde, ma alla fine, quello che conta, è che è davvero un’opera d’arte notevole, a sottolineare come Petri sia stato uno dei migliori registi italiani dell’epoca, purtroppo ancora misconosciuto in Italia, ma famosissimo ed osannato nel resto del mondo. Inoltre Petri dimostra il suo fiuto anche nella parte pittorica del film: i quadri esposti sono quelli dell’artista statunitense Jim Dine, oggi considerato uno dei più noti esponenti mondiali della pop art, allora ancora agli esordi. Franco Nero ricorda come Dine volesse vendergli alcuni dei suoi quadri a fine riprese, ma l’attore non accettò ritenendo la cifra troppo alta: oggi, con quella cifra, non si comprerebbe più nemmeno un solo quadro di questo stimato artista di fama internazionale! Quindi, ottimo fiuto Petri, un po’ meno Nero, ahimè!! I livelli raggiunti in questo film da Petri in tecnica narrativa, montaggio, ritmo, effetti speciali e fotografia serviranno a sviluppare nel migliore dei modi la successiva filmografia del regista.

Le location hanno il sapore delle grandi ville set di film iconici avatiani, e riprese anche da registi successivi come ad esempio Lorenzo Bianchini. Se la prima dimora che ci viene proposta è l’elegante Villa Cordellina Lombardi di Montecchio Maggiore (VI), la vera protagonista del film è invece Villa Cavalli Lugli a Bresseo, frazione di Teolo (PD). Oggi affittata per eventi e matrimoni, la dimora nobiliare risulta abbandonata e cadente nel film, con tutto quell’oscuro fascino retrò che non può che renderla cupamente meravigliosa per chi si nutre con piacere di questa tipologia di pellicole.

Il fulcro del racconto è la disperata ricerca di un artista di liberarsi dalle sovrastrutture economiche e pecuniarie che inquinano e deturpano la vera bellezza insita nell’arte, quelle di una società prettamente mercantile, che soffoca ogni autentica fonte di ispirazione. Giocando sapientemente con le immagini, le luci, i tagli, i movimenti della camera, ed avvalendosi dell’ottimo montaggio di Ruggero Mastroianni, Petri riesce a creare una grande sequenza onirica che si apre nel luminoso appartamento milanese di Flavia e Leonardo e si chiude nell’altrettanto luminoso manicomio della scena finale, attraversando tutta la parentesi più o meno buia ed inquietante della parte centrale che vede il pittore all’interno della villa che sembra vivere di vita propria, tanto da suggerirci, nemmeno tanto velatamente, che sia stata essa stessa a scegliere il suo proprietario, e non viceversa. Gli appare in sogno, a quanto sembra, e quando la ritrova nella realtà non vorrà più separarsene, come già prevedesse il grande amore che in quella villa è stato vissuto e che forse potrebbe ravvivare la sua stanca ispirazione condizionata dai denari sonanti contati meticolosamente da Flavia. E così il tanto agognato posto di campagna diviene una via di fuga da qualcosa di aberrante che è però diventato routine quotidiana e dal quale non si può fuggire se non perdendo completamente il lume della ragione.

https://www.imdb.com/title/tt0065119/

Ilaria Monfardini