Un uomo tranquillo: Hans Petter Moland al cospetto di Hollywood

Hans Petter Moland è uno dei nomi maggiormente noti del cinema norvegese. Uno dei cineasti scandinavi che piuttosto bene sembra adattarsi ai canoni hollywoodiani, pur mantenendo un forte marchio stilistico.

Se, dunque, il cineasta già da tempo ha avuto modo di affermarsi all’interno dei confini nazionali, ben presto ci si è accorti anche qui in Italia (e negli Stati Uniti) dei suoi lavori. Fino al 2010, anno in cui il suo In ordine di sparizione ha divertito e anche lasciato interdetti un buon numero di spettatori.

Se, però, il regista ha avuto modo di essere sé stesso in tutto e per tutto lavorando in patria, ha dovuto ben presto affrontare una nuova sfida nove anni più tardi, quando a Hollywood ha realizzato Un uomo tranquillo, rifacimento del citato titolo.

La storia portata in scena, quindi, è molto simile all’originale: Nels Coxman (Liam Neeson) è un uomo semplice e pacato, il quale vive in una cittadina del Colorado insieme alla moglie (Laura Dern) e al figlio ventenne Kyle (Micheal Richardson). Un giorno, improvvisamente, il giovane viene rapito e ucciso da un gruppo di spacciatori che lo credevano colpevole di aver rubato un carico di cocaina. Nels, di conseguenza, non aspetterà molto tempo per rintracciare i suoi assassini e vendicarsi di ognuno di loro.

Da una prima, sommaria lettura della sinossi – e grazie anche alla presenza di Neeson nel ruolo del protagonista – verrebbe quasi da pensare all’ormai cult Io vi troverò. Eppure, perfettamente in linea con tutta la filmografia del regista, Un uomo tranquillo si rivela presto tutt’altra cosa, in quanto, pur adattandosi, in parte, ai canoni hollywoodiani, è una sorta di commedia nera dai toni freddi, cinici e tanto impietosi quanto divertiti.

Fatta eccezione per il rapporto che lega il protagonista al figlioletto del capo della banda che ha ucciso Kyle, i personaggi – così come le scenografie e la stessa ambientazione, che, pur essendo negli Stati Uniti, tanto sta a ricordare un paesaggio scandinavo – sono freddi, freddissimi, al punto da sembrare quasi innaturali (basti pensare, per esempio, alla stessa figura di Laura Dern, tanto contenuta da risultare quasi innaturale nel trovarsi al cospetto della salma di suo figlio).

E la cosa in sé è anche riuscita. Peccato solo che qualche imprecisione a livello di script (prima fra tutte, lo stesso personaggio della Dern, inizialmente di importanza quasi centrale, ma che poi non fa che sparire nel nulla per non tornare più) contribuisca a far perdere punti all’intero lavoro.

Nonostante tutto, però, Moland pare se la sia cavata discretamente in questa sua prova hollywoodiana dai toni decisamente più smorzati e assai meno ironici rispetto al lungometraggio da cui Un uomo tranquillo prende le mosse.

 

 

Marina Pavido