Il giovane siriano Aryan (Zsombor Jéger) arriva in Ungheria con il padre, superando illegalmente la frontiera. Ma il passaggio del confine non segna per il ragazzo la fine del lungo e tremendo viaggio.
Durante una corsa estenuante nel bosco, Aryan perde di vista il padre e, mentre è intento a nascondersi dalla polizia di frontiera per sopravvivere, è raggiunto da tre colpi di pistola. I proiettili non lo uccidono. Al contrario, atterrato dalla ferita, il ragazzo scopre di possedere il potere di levitare a comando. Un potere straordinario che il dottor Stern (Merab Ninidze), incontrato dal ragazzo nel campo profughi dove i poliziotti lo hanno portato, proverà a usare in chiave economica.
Una Luna chiamata Europa è una spirale caotica che, sin dall’inizio, trascina in un racconto confusionario. Un racconto che si attorciglia intorno a sterzate imprevedibili che non permettono di classificare il film di Kornél Mundruczò in nessun genere definito. Le prime scene di profondo realismo introducono, senza filtri, al dramma dei migranti, oggi tanto scottante per l’Europa. Il viaggio atroce, la fuga, la squallida ghettizzazione cui i profughi sono sottoposti in città, a Budapest nel caso specifico, sembrano una fotografia della nostra società contemporanea. Ma, come un lampo improvviso, la scoperta di Aryan di poter levitare cambia tutto. La concretezza del tema svanisce e la trama si arricchisce di un elemento fantascientifico e, in parte, religioso che genera inevitabilmente un effetto di straniamento.
Il lungometraggio di Mundruczò comincia come un film di denuncia e si trasforma in qualcos’altro. In un qualcosa che, però, non si riesce a capire fino in fondo. Questo genera forse un po’ di confusione nello spettatore. Eppure, in maniera sorprendente, da questo caos in cui si perde la bussola vengono fuori spunti di riflessione interessanti, tanto più perché offerti in chiave orignale. Guardando Una Luna chiamata Europa non si può non interrogarsi sul dramma sociale e umano che affligge il nostro mondo, ancor più sul bene e il male racchiusi in una stessa persona, non si può non farsi domande su cosa si è disposti a credere.
E, del resto, Mundruczò ci chiede di credere a una visione dove la logica nota sembra svanire. E lo fa realizzando un film che, nonostante la veste confusionaria, ha una carica di originalità e slancio in cui vale la pena perdersi.
Valeria Gaetano
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.