Underwater: Alien degli Abyss

Giusto il tempo di vedere immediatamente in scena la Kristen Stewart della saga romantico-vampiresca Twilight nei panni dell’ingegnera elettronica Norah Price, che subentra la spettacolarità in Underwater, terzo lungometraggio firmato dal direttore della fotografia William Eubank.

Del resto, la donna fa parte dell’equipaggio dell’operazione mineraria Kepler, la cui trivella sottomarina viene travolta da un terremoto costringendola, insieme ad altri pochi sopravvissuti, a vagare sul fondo alla ricerca di un’altra distante e abbandonata.

Equipaggio in cui rientra anche il capitano della stazione Lucien, ovvero Vincent Cassel; man mano che risulta evidente che sott’acqua non siano affatto soli e che il pericolo è dietro l’angolo, in quanto qualcosa di mostruoso sembra aggirarsi in cerca di vittime da mietere.

Qualcosa che, curiosamente, ricorda sotto certi aspetti il gigantesco essere visto nella saga Cloverfield.

Qualcosa di non disprezzabile dal punto di vista grafico, ma che, pur trovandosi al centro di oltre un’ora e mezza di fanta-horror in fotogrammi totalmente costruita sul movimento, non sembra riuscire a dispensare nessun brivido.

Come pure l’abbondanza di azione pare non coinvolgere affatto, nel corso di quella che, nelle intenzioni dei realizzatori, doveva essere una fusione tra l’avventura nelle profondità marine di The abyss di James Cameron e la tensione che travolgeva Ripley alias Sigourney Weaver in Alien di Ridley Scott.

Una fusione che, in realtà, proprio nello stesso 1989 che segnò l’uscita del fanta-movie subacqueo a cura dell’ideatore di Terminator, la Settima arte aveva già avuto modo di concretizzare sul grande schermo attraverso poco memorabili titoli quali Creatura degli abissi di Sean S. Cunningham e Leviathan di George Pan Cosmatos.

Titoli di cui, paradossalmente, Underwater arriva a rispecchiare proprio la totale mancanza di originalità e la tendenza ad annoiare.

Tanto che, tra suspense praticamente nulla e una banalissima e prevedibile conclusione che non testimonia davvero una attenta ricerca mirata a sorprendere, potrebbe essere apprezzato esclusivamente, forse, dai profani del genere e da coloro che non hanno ancora assistito ai classici e (s)cult sopra menzionati.

 

 

Francesco Lomuscio