VEDIAMOLI E RIVEDIAMOLI: ROBOCOP

ROBOCOP (1987)

Forse nacque come film a basso costo senza troppe pretese, e invece divenne un piccolo cult che diede origine a due sequels, due serie di telefilm e una serie animata (tutte, a dire la verità, con luci ed ombre).
In una Detroit del futuro invasa dalla criminalità, le multinazionali (che spesso nascondono altri criminali in giacca e cravatta) detengono il potere, al punto che persino le forze di polizia sono ufficialmente appaltate e stipendiate da una multinazionale, la OCP (Omni Consumer Productions, più o meno “Prodotti per ogni consumatore”). La lotta contro il crimine è decisamente impari, e gli agenti hanno un indice di mortalità molto elevato (al punto che nel film “Robocop 2″ arriveranno a scioperare…). La OCP allora tenta la strada della realizzazione di un indistruttibile poliziotto meccanico, e dopo un primo deludente esperimento trova la strada giusta: ciò che rimane dell’agente di polizia Alex Murphy (Peter Weller) massacrato da una banda (in sostanza il tronco con la testa…) viene trapiantato in una protesi totale del corpo che lo rende pressoché indistruttibile ed invincibile. Nasce così Robocop, super poliziotto meccanico dotato di una super-pistola (una italianissima Beretta 93R con alcune modifiche) e di una serie di gadget elettronici e tecnologici per poter svolgere il proprio mestiere.
Caratteristica di Robocop è anche la presenza, nel suo programma, di tre direttive fondamentali, vagamente ispirate alle famose “Leggi della robotica” di Asimov: 1) servire la collettività, 2) proteggere gli innocenti, 3) far rispettare la legge. Ce n’è poi una quarta, debitamente occultata: mai arrestare un funzionario della OCP, e questa direttiva garantisce l’immunità ai suoi creatori (e, formalmente, proprietari) davanti alla legge. Ma Robocop non è proprio una fredda macchina:  Alex Murphy ha conservato i suoi ricordi e la sua personalità, quindi è spesso in grado di prendere decisioni “umane”, almeno per quanto consentito dal suo programma cibernetico. Ben presto Murphy scopre che il vicepresidente della OCP Dick Jones (Ronny Cox) è corrotto e in combutta con una banda criminale: vorrebbe arrestarlo ma la “quarta direttiva” glielo impedisce, e Jones non ha grossi problemi a scatenargli addosso tutti gli ex colleghi, tranne una: la sua ex collega di pattuglia Anne Lewis (Nancy Allen) che diviene la sua unica alleata mentre sia la polizia che le bande criminali gli danno la caccia…


Diretto da un emergente Paul Verhoeven, “Robocop” fu un piccolo capolavoro che non disdegnava la satira feroce (i programmi televisivi che ogni tanto si intravvedono mostrano telegiornalisti servi del potere e spot di prodotti eticamente abietti), sinistri presagi (oggi Detroit è veramente ridotta come nel film!!) e scene violente o splatter (memorabile il criminale liquefatto dai rifiuti tossici).
Memorabile anche il tema musicale di Basil Poledouris, stupidamente abbandonato nel sequel e velocemente reinserito nel terzo film e nelle varie serie televisive.
Una piccola nota anche per gli effetti speciali: l’armatura di Robocop (anch’essa particolarmente riuscita) è un altro capolavoro di Rob Bottin (noto anche per “La Cosa”), mentre l’ottuso androide ED-209 è animato da un altro nome celebre, Phil Tippett.
Da segnalare nel cast anche Miguel Ferrer nel ruolo di Bob Morton, manager rampante e privo di scrupoli nonché creatore di Robocop.

ROBOCOP (2014)

Ormai Hollywood vive di sequel, nel ricordo dei magnifici anni ’80 quando Lucas e Spielberg dominavano il cinema di fantascienza… insieme a uno stuolo di proseliti dalle buone capacità.
Nel 1987 Paul Verhoeven (che in seguito avrebbe diretto “Total recall” e “Starship troopers”) diresse il memorabile “Robocop”, film decisamente riuscito e accattivante (e foriero di numerosi sequels), per cui la tentazione del remake è stata troppo forte…
Qui si è tentato uno sforzo di dare alla storia una diversa direzione e una maggiore profondità rispetto all’originale.
Questa volta la Omnicorp è una multinazionale specializzata in droni umanoidi (in altre parole robot-soldati) che sembra aver risolto il problema della “guerra asimmetrica” (ovvero truppe regolari contro guerriglia, come visto dal Vietnam in poi): utilizzando robot anziché soldati veri, niente più perdite umane (per gli americani, ovviamente) nelle zone di guerra “calde”. Ma l’ambizioso presidente della Omnicorp, Raymond Sellars (un Michael Keaton miracolosamente riapparso sugli schermi) vorrebbe di più: vorrebbe che anche in America si utilizzassero i robot al posto dei poliziotti, e in questo è appoggiato mediaticamente dall’anchorman Pat Novak (un Samuel Jackson che non disedgna i ruoli volutamente grotteschi come questo). Ma occorre far  abrogare una legge che lo proibisce, e le immagini in diretta di un bambino ucciso dai robot perchè brandiva un coltello non aiutano… e questo dà al senatore Dreyfuss (Zach Grenier), padre di tale legge, l’argomentazione principale: i robot non sono umani, non hanno sentimenti e quindi non sono in grado di prendere decisioni in situazioni anomale.
Allora Sellars incarica lo scienziato neuro-psichiatra Dennett Norton (Gary Oldman, che dopo la trilogia del “cavaliere oscuro” ha preso gusto a ruoli decisamente positivi) di studiare il modo di interfacciare uomini e macchine.


E l’occasione arriva quando l’irreprensibile poliziotto Alex Murphy (Joel Kinnaman), marito e padre esemplare, subisce un grave attentato dinamitardo. Forzando un po’ la mano, Norton convince la moglie di Murphy, Clara (Abbie Cornish) a consentire un particolare intervento su ciò che resta del marito, pur di tenerlo in vita… e così nasce Robocop.
E da qui iniziano le differenze più grosse con il film dell’87: infatti viene molto sottolineato il disagio di Murphy ormai prigioniero di un corpo meccanico (viene anche “smontato” per mostrare cosa resta di lui, cioè testa, cuore e polmoni…) e gli scrupoli morali di Norton ad alterare il delicato equilibrio tra le capacità decisionali umane di Murphy e il software di Robocop.
La moglie e il figlio di Murphy qui hanno un ruolo molto maggiore: nel film originale erano solo delle comparse nei ricordi di Murphy, qui invece Clara lotta e protesta per poter rivedere suo marito e perché egli possa mantenere la sua componente umana.
Non manca nemmeno una trovata narrativa fin troppo “politically correct” (decisamente in controtendenza con l’originale…): qui infatti ad un certo punto la componente “umana” di Robocop viene (con un software adeguato) pressoché esclusa, ma l’umanità prende il sopravvento e Robocop si riprogramma da solo per tornare umano…
Volendo è meno peggio del previsto, ma il confronto con l’originale resta difficile. Manca quel filo di crudeltà grottesca, manca il coreografico design di Rob Bottin (questo sembra un parente povero di Iron Man, e chi se ne frega se è più “tecnologico”), e come spesso succede il tentativo di fare qualcosa di più “profondo” va a discapito del semplice divertimento.
C’è qualche citazione dal film originale, come la trappola preparata per Robocop con tutti i robot ED-209 a sparargli addosso e il provvidenziale soccorso di Lewis, e l’ormai storico tema di Poledouris che rifà capolino almeno in un paio di occasioni…
Da segnalare nel cast anche Michael K. Williams nel ruolo (ora molto marginale) dell’agente Lewis (diventato uomo e di colore) e Jackie Earle Haley (Rick Mattox, sicario di fiducia della Omnicorp). La regia è di José Padilha: quando Verhoeven girò il suo “Robocop” non era forse più conosciuto ma sicuramente aveva un curriculum già più lungo. E, com’è come non è, mentre scriviamo il film è già sparito dalle sale dopo una settimana massimo due…

Giuseppe Massari