Nel recensire l’apologo sociale in chiave buddy buddy Un uomo da marciapiede sulle pagine della rivista L’Espresso, Alberto Moravia scrisse che John Schlesinger traeva partito da tutto senza essere ossessionato da nulla. La magnifica ossessione, invece, di Ivano De Matteo resta quella di spingere gli spettatori a porsi degli schietti interrogativi al termine della visione di film diretti tenendo conto tanto del darwinismo antropologico caro a Otto Preminger, sull’impervio ma suggestivo terreno del noir, quanto dell’allusiva contaminazione dei generi.
La sua ultima fatica, Villetta con ospiti, superiore di almeno un paio di spanne rispetto al previo mélo psicologico La vita possibile, in grado di arricchire l’insita crudezza oggettiva con una valenza metaforica degna di nota, quantunque non esente dalle fatue tendenze manieristiche, coglie sul serio nel segno. De Matteo, noto per aver interpretato il malavitoso detto Puma, avvezzo ad aforismi filosofeggianti, nella serie tv Romanzo criminale, scandaglia in cabina di regìa le doppiezze della classe borghese. Al centro già del pamphlet introspettivo La bella gente, in cui diede il meglio delle proprie aguzze doti analitiche attraverso l’interazione tra dialoghi taglienti ed emblematiche immagini impreziosite dall’eloquenza dei sovrani silenzi. La verità poetica, caldeggiata dall’impagabile Giacomo Leopardi, ricava ulteriore vigore dalla densità contenutistica ed evocativa dell’avvertito timbro stilistico.
Lungi dal cedere spazio all’accidia delle idee attinte all’altrui acutezza. L’affinità elettiva con l’energica moglie, nonché co-sceneggiatrice, Valentina Ferlan, che svela lo sgomento nascosto dietro l’apparente verve della provincia, consente a De Matteo di rielaborare gli stilemi contemplati da numi tutelari diametralmente opposti per travalicare la tensione formale. Mentre l’incipit richiama alla mente le parabole sulle dubbie morali venatorie, da Il cacciatore di Michael Cimino a Il sospetto di Thomas Vinterberg, con l’ovvio rovescio della medaglia che annuncia foschi presagi nelle distorte risate dei corsari antropici, l’immediato prosieguo alza il tiro. Gli echi di Signore e signori del versatile Pietro Germi, alfiere della Commedia all’italiana capace d’imprimere notevole sagacia satirica al valore del racconto, si vanno ad amalgamare all’intelaiatura corale eletta a oggetto di analisi malincomica nei capolavori di Robert Altman ed Ettore Scola. L’intensa galleria dei personaggi, fieri dell’autore con la “a” maiuscola che ne delinea ad hoc gli accenti sommessi, che passano dalla virtù di far ridere amaramente e di far riflettere ironicamente ai motivi d’inquietudine dei thriller canonici con l’assoluta coerenza degli idonei rapporti di causa ed effetto, fornisce un quadro articolato dell’ambiente preso in esame. La padronanza dei princìpi della geografia emozionale diviene lo strumento sia per eludere i limiti del cinema da camera sia per riverberare gli stati d’animo e i modi d’agire dalla carica minacciosa conforme ai romanzi hard-boiled.
Massimiliano Gallo, nei panni del poliziotto napoletano trapiantato in Veneto che tiene a bada i rumeni dediti all’illegalità e lancia strali in camera caritatis contro la categoria degli ipocriti privilegiati autoctoni, merita una lode incondizionata per l’aderenza alle dicotomie dell’uomo di legge svilito dal germe dell’invidia. Marco Giallini, nel ruolo dell’imprenditore capitolino che ha attaccato il cappello, antepone alla propensione all’iperbole una rimarchevole finezza. Estranea agli sfoggi delle dive, ansiose di rispecchiarsi nelle applaudite prove di bravura, Cristina Flutur conferma nella parte della domestica originaria di Bucarest, agli ordini della famiglia più stimata del vibrante microcosmo, l’ottima misura recitativa esibita in Oltre le colline di Cristian Mungiu. Michela Cescon incarna l’ereditiera bisognosa di conforto sulla scorta dell’usuale destrezza. L’omaggio nei riguardi ora dell’epoca del muto, ora del western mantiene una posizione di rilievo. Sebbene congiunta dal pur abile montaggio di Marco Spoletini all’ordine naturale delle cose, rappresentato dal mondo animale limitrofo, per mezzo del carattere generico attinto ai documentari panteisti. Alla lentezza comunque ipnotica di certi interludi corrisponde, per contrasto, lo shock di uno sparo inopinato. Ivano De Matteo, ispirando il remake di Oren Moverman, The diner, era riuscito ne I nostri ragazzi ad appaiare il margine d’enigma dell’arcano, svelato per scoprire l’atto mostruoso compiuto da due incoscienti figli di papà allo sbando, con l’autenticità dell’ispirazione. Consapevole di non poter cambiare il mondo. Desideroso, piuttosto, d’invitare i genitori a non prendere sottogamba i chiari segnali d’insofferenza.
Adesso, allorché l’abitazione del titolo diviene teatro dell’assurdo, frutto di un estremo gesto dovuto all’incertezza esacerbata dalla personificazione del Rischio nei ritratti in penombra colti dall’estro luministico dell’accorta fotografia di Maurizio Calvesi, i nodi vengono, una buona volta, al pettine. La spinosa questione della sicurezza di Villetta con ospiti cagiona una marea d’insicurezze. L’unica notizia sicura mette i brividi. L’audacia di accostare l’algida perizia dell’iniquità consumata ai danni degli umili, sull’esempio del lavoro di sottrazione condotto in auge dal compianto Robert Bresson, coi calorosi batticuori, trasformati in coefficienti spettacolari dall’insostituibile deux ex machina in materia Douglas Sirk, sarebbe potuta cadere nell’intoppo dei clichés riformisti. A scongiurare l’azzardo provvede l’insolito connubio del cuore col cervello. Che esorta le platee a comprendere appieno dove inizia il gioco e dove finisce la tragedia. Al di là del livellamento ugualitario o dell’egemonia dello spirito. Al pari dei recenti antesignani, da Padroni di casa del poliedrico Edoardo Gabbriellini a Piccola patria dell’ingegnoso Alessandro Rossetto, Villetta con ospiti svuota il vaso di Pandora legato ai cani di paglia. Imperanti nella civiltà. Con la molla dell’istinto di conservazione pronta però a mietere continue vittime. L’immediato risalto garantito all’aura contemplativa è, con buona pace dei vari rimandi citazionisti, frutto interamente della farina di Ivano e signora. Una coppia che bussa alla coscienza d’ogni individuo.
Massimiliano Serriello
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