Voyage of time – Il cammino della vita: il viaggio senza meta dell’universo

Con la voce narrante di Cate Blanchett, nonché prodotto da Brad Pitt, si intitola Voyage of time – Il cammino della vita ed è il primo documentario diretto dal cineasta statunitense classe 1943 Terrence Malick, autore de La sottile linea rossa, The new world – Il nuovo mondo e The tree of life.

Presentato presso la settantatreesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film, nella sua versione integrale per la sala, è distribuito da Double Line in collaborazione con Lo Scrittoio.

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In Voyage of time – Il cammino della vita Malick invita lo spettatore a sondare in profondità quattordici miliardi di anni tra passato, presente e futuro, ricostruendo la cronologia scientifica della Terra, dalla nascita delle stelle alla comparsa dell’uomo sul pianeta.

Scopo principale del regista è stato il voler creare un nuovo formato sperimentale, al confine tra effetti speciali tradizionali ed effetti digitali all’avanguardia, all’insegna di una domanda: possiamo riprodurre sullo schermo gli eventi cosmologici e le forme di vita più bizzarre di cui nessuno è mai stato testimone? La risposta è probabilmente un enorme “SI'”! La fantastica fotografia e l’affascinante voce di Cate Blanchett sono un connubio maestoso.

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Tuttavia, occorre accostare a ciò anche un altro interrogativo: non sarà solo un esagerato esercizio masturbatorio di colui che esordì con La rabbia giovane? Ha senso realizzare un film che quasi certamente vedranno in “quattro” e che nel profondo apprezzeranno in “due”? Capiamo la sperimentazione ma… tutto ciò, nel mezzo di una crisi economica e sociale potrebbe apparire come un qualcosa da privilegiati.

In Voyage of time – Il cammino della vita l’estetica supera nettamente la proposta contenutistica che, per colpa anche di un montaggio forse troppo cervellotico, appare solamente visuale e di difficile accesso. Tutto questo elitarismo non sarà ormai anche un po’ mainstream (per non dire “fighetto”)? Un film che si rischia di non terminare di vedere.

 

 

Dario Bettati