WESTERN ALL’ITALIANA: MATALO!

Due anni dopo aver diretto il suo vero film d’esordio, il giallo-noir Una jena in cassaforte (1968), il geniale regista milanese Cesare Canevari realizzò un altro capolavoro, il western Matalo! (1970), presentato alla 64esima Mostra di Venezia del 2007 nella retrospettiva dedicata al western all’italiana. Matalo! è un film che presenta più di un’analogia stilistica e narrativa con il precedente: ancora una volta, Canevari si dimostra un autore nel senso pieno del termine, girando un film “di genere” con caratteristiche fortemente sperimentali e innovative che conferiscono alla pellicola una connotazione squisitamente artistica. Matalo! è infatti il western italiano più allucinato e psichedelico di sempre, alla pari solo con il precedente Se sei vivo spara(1967) di Giulio Questi (film noto per la sua estrema crudeltà, che viene invece “mitigata” in Matalo!): in entrambi i film domina infatti un surrealismo spiazzante, e i villaggi sembrano quasi usciti da una pellicola di Jodorowsky.

Il western di Canevari è veramente un prodotto unico e visionario: pochi personaggi all’interno di una città fantasma, inquadrature e musiche psichedeliche, dialoghi ridotti all’osso. Il regista decide infatti di puntare soprattutto su un linguaggio cinematografico sperimentale, sull’espressività dei volti degli attori e sulla caratterizzazione dei personaggi. La dimensione allucinata di Matalo! è sostenuta con forza anche dalle musiche di Mario Migliardi, veramente stranianti in ambito western: brani rock anni Settanta mixati con vigorose schitarrate e addirittura con elaborazioni elettroacustiche.

In questo caso, Canevari si trova a dover lavorare con un copione non suo, ma è abile nel trasformarlo in base alle sue idee e a dare origine a un lavoro assolutamente personale. A proposito della sceneggiatura, è doveroso ricordare anche un aneddoto che l’accompagna: Mino Roli (che aveva scritto il film insieme a Nico Ducci e a Eduardo Maria Brochero) ha venduto a Canevari, a insaputa di questi, una sceneggiatura che in precedenza aveva già fornito a un produttore jugoslavo e che aveva dato origine a un altro western, Dio non paga il sabato (1967) di Amerigo Anton (un western godibile degno di nota per la bellissima canzone The price of gold di Lavagnino). In effetti, la vicenda narrata nei due film è pressoché identica, ma il film di Canevari si eleva nettamente al di sopra del suo involontario predecessore, per via della forza sperimentale e narrativa, nonché per la migliore qualità degli attori. Il produttore jugoslavo querelò l’incolpevole Canevari con l’accusa di plagio, e la questione si dovette risolvere in tribunale.

La trama del film è abbastanza semplice nella sua genialità. Il fuorilegge Burt (Corrado Pani), scampato alla forca grazie all’intervento di una banda, ne uccide i componenti e si ricongiunge con i suoi complici: Philip, la sua compagna Mary e Theo. Insieme assaltano una diligenza che trasporta un ingente quantità di monete d’oro. Mentre Burt, in apparenza morto durante la rapina, viene abbandonato, i tre superstiti si rifugiano con il bottino in una città fantasma, abitata solo da un’anziana signora, e le tensioni che covano fra di loro esplodono all’arrivo di due stranieri: una giovane vedova e un avventuriero australiano di nome Ray (Lou Castel). Quando Burt, in realtà vivo e complice di Mary, si presenta per reclamare il bottino, inizia una cruenta sparatoria che lascerà come superstiti solo Ray e la vedova.

Lo schema narrativo riprende un po’ la struttura claustrofobica, con vari personaggi in lotta fra loro e confinati in un luogo circoscritto, presente ne Una jena in cassaforte e ricorrente nel western italiano (Prega il morto e ammazza il vivo e Deguejo di Giuseppe Vari, solo per citare due esempi illustri). Canevari, come si diceva, crea però un prodotto artistico assolutamente personale e surrealista che non ha eguali nel genere western. Matalo!, girato in Spagna, si avvale della bellissima fotografia di Julio Ortas Plaza, che valorizza sia gli esterni (i bellissimi paesaggi desertici e la tetra ghost-town), sia gli interni: scenari classici del western all’italiana distorti dall’originalissima regia di Canevari.

Lo sperimentalismo di Matalo! si può notare già dalla caratterizzazione dei personaggi. Pensiamo, in particolare, al personaggio interpretato da Lou Castel: un australiano vagabondo, vestito con una giacca elegante e decorata con disegni in stile “hippie”, che parla (poco) con un marcato accento straniero e, soprattutto, per difendersi non usa pistole ma boomerang. Non meno stravagante è il bandito interpretato da Corrado Pani: strafottente e pieno di tic (il fischio, il bacio alla pistola o al fucile dopo aver sparato), porta in testa una bandana a righe bianche e verdi, un maglione verde, una giacca lunga di pelle e le pistole a mezzo busto.

Nel cast, sono proprio Lou Castel e Corrado Pani a dominare. Castel, attore versatile dall’aria straniata, non è nuovo al genere western, avendo già recitato in Quien sabe? (1966) di Damiano Damiani e Requiescant (1967) di Carlo Lizzani. Pani, attore cinematografico, teatrale e televisivo, si cimenta invece egregiamente nel suo unico film western. Altri volti noti sono poi, nel ruolo del capobanda Philip e della sua compagna Mary, Luis Davila (noto caratterista del genere) e la bella Claudia Gravy (celebre per due western spagnoli di Zabalza: Adios Cjamango e Prendi la colt e prega il padre tuo). L’interpretazione migliore (dopo Castel e Pani) è quella di Antonio Salines, nei panni di Theo, un bandito fragile e psicopatico innamorato di Mary, soggetto a crisi di nervi e ad esplosioni di crudeltà. Convincenti sono anche le altre due figure femminili: la giovane vedova (Anna Maria Mendoza) e l’anziana signora Benson (Anna Maria Noè), l’unica abitante della ghost-town in cui è ambientata gran parte della vicenda.

La regia delinea con cura tutti i personaggi e i rapporti che intercorrono fra di loro, sempre tesi e diffidenti, e soprattutto sperimenta un nuovo tipo di linguaggio cinematografico. Tornano quindi, in maniera ancora maggiore, le inquadrature sbieche presenti ne Una jena in cassaforte, gli zoom improvvisi, il montaggio frenetico, le inquadrature dei particolari e le lunghe carrellate sia sui personaggi che sul paesaggio. Un insieme di elementi che, uniti alle musiche psichedeliche di Migliardi, spiazzano lo spettatore producendo un senso di surrealismo e di “vertigine”.

Pur essendo un film fondamentalmente “statico”, le scene d’azione non mancano: la liberazione di Burt dalla forca e il conseguente eccidio della banda, la rapina alla diligenza, la sparatoria finale. Tutte le sparatorie sono magistralmente dirette sempre secondo lo stile “vertiginoso” e surreale che abbiamo descritto in precedenza, con il risultato di una distorsione dei canoni classici del western.

In Matalo!assistiamo inoltre al duello più originale di tutto il western italiano, dal momento che Lou Castel e Antonio Salines si affrontano in un incredibile duello “boomerang contro pistola”: Castel, tenendosi a debita distanza, lancia vari boomerang in sequenza contro il bandito, prima disarmandolo e poi uccidendolo con alcuni colpi alla testa. Questa bellissima sequenza è degna di nota non solo per la sperimentazione narrativa, ma anche per quella stilistica (che, in Canevari, coesistono sempre): attraverso un dolly, il regista realizza infatti una spettacolare inquadratura che segue il percorso del boomerang lanciato da Castel, dal basso verso l’alto del villaggio, lungo tutto il suo profilo, fino al volto di Salines, su cui l’arma produce il suo micidiale effetto.

Questa sequenza è una delle più violente del film, insieme ai pestaggi e alle violenze psicologiche a cui Castel e la Mendoza sono sottoposti dai fuorilegge. Memorabile, in proposito, è la sequenza in cui l’australiano viene frustato a sangue con una catena da Salines, per poi essere salvato dal provvidenziale (e quasi “soprannaturale”) intervento del suo cavallo, che si alza sulle zampe posteriori e rompe le mani all’aguzzino. Tutta la scena in questione è girata al rallentatore, ma il ralenti non viene utilizzato (come farà invece Castellari) per spettacolarizzare la scena, quanto piuttosto per creare ulteriormente un’atmosfera surreale e rarefatta. Un altro magistrale esempio di violenza (in questo caso psicologica) lo troviamo quando lo psicopatico Salines mostra l’acqua a Castel, arso dalla sete, impedendogli però di bere.

Grazie ai personaggi interpretati da Castel e da Pani e alle musiche psichedeliche di Migliardi, nel film si respira un’aria “sessantottina” e “pop” (un po’ come accadeva, del resto, anche ne Una jena in cassaforte). E, come nel precedente film, Canevari si diverte a stupire continuamente lo spettatore alternando primi piani e dettagli (gli occhi, il percussore del fucile) a carrellate panoramiche, come quella finale che mostra le vittime della sparatoria disseminate nel villaggio.

Infine, come ulteriore conferma (se mai ce ne fosse bisogno) della dimensione completamente allucinata e fuori dagli schemi di questo film, troviamo addirittura due fermo-immagine di Corrado Pani e Luis Davila durante la rapina alla diligenza, e un paio di sequenze in cui sentiamo (attraverso la voce fuori campo) i pensieri del bandito interpretato da Pani, nei quali egli racconta l’inizio della sua “carriera” di fuorilegge e le sue massime di vita.

Davide Comotti