Dopo L’uomo invisibile, del 2020,il regista e sceneggiatore australiano Leigh Whannell torna dietro alla macchina da presa con Wolf man. Vissuta la sua intera infanzia nell’Oregon, in una casa di legno immersa in un fitto e selvaggio bosco insieme a suo padre, Blake, interpretato da Christopher Abbott, vive oggi a San Francisco.
Dopo la misteriosa scomparsa del genitore, Blake eredita la dimora e convince sua moglie Charlotte, incarnata da Julia Garner, a prendere possesso dell’abitazione insieme alla loro figlia Ginger, impersonata dalla piccola Matilda Firth. Ma, mentre si recano sul posto, un’imprecisata creatura li aggredisce e ferisce l’uomo, che da quel momento in poi comincia a manifestare strani comportamenti e una certa mutazione corporea, tanto che Ginger e Charlotte finiscono in grave pericolo.

Perché Wolf man fa parte del progetto dedicato ai mostri firmato dalla Universal Pictures: il Dark Universe che era stato avviato attraverso La mummia di Alex Kurtzman, con Tom Cruise, Sofia Boutella e Russell Crowe, e che segnava il reboot dei classici dell’orrore realizzati dalla major tra gli anni Trenta e Cinquanta. Il grave insuccesso del lungometraggio però aveva fatto naufragare il progetto, così la stessa Universal decise di rivolgersi anche a produzioni esterne coinvolgendo la BlumHouse per concepire il sopra menzionato L’uomo invisibile, tramite cui si rese omaggio – con grande successo di pubblico e di critica – allo straordinario lungometraggio originale diretto nel 1933 da James Whale. Dunque, con Whannell nuovamente al timone di regia Wolf man gioca le sue carte migliori all’interno della casa di campagna, restituendo uno scenario di stampo teatrale in cui le situazioni di tensione raggiungono l’acme nella minaccia rappresentata da Blake, con la sua bestiale metamorfosi.

Al contempo, la crescente inquietudine è determinata anche dalla sua strenue tenacia nel resistere alla trasformazione per proteggere Charlotte e Ginger. La sensazione di pericolo per sua moglie e sua figlia è palpabile e la suspense vive di buoni momenti che, però, purtroppo vengono smorzati da lungaggini destinate ad inficiare sulla buona riuscita, sebbene la durata del film non sia eccessiva. E, se da un lato neppure qualche jump scare di mestiere risolleva un ritmo altalenante, dall’altro il lungometraggio si perde ulteriormente dietro una vana velleità intimista; mentre dal punto di vista degli effetti speciali anche la mutazione di Blake in lupo mannaro risulta molto debole. L’ambientazione quasi del tutto in un’unica location è sicuramente interessante e concede quella claustrofobica sensazione di terrore mista alla paura del contagio, in grado di rievocare timori risalenti alla pandemia del Covid-19 (periodo che probabilmente ha ispirato il regista, considerate le difficoltà di distribuzione avute proprio con L’uomo invisibile).

Wolf man nel complesso gode di spunti interessanti concernenti soprattutto la regia e le interpretazioni mai sopra le righe, come anche l’allegoria relativa al fatto che in alcuni frangenti è pericoloso proprio chi ci sta accanto, ma il film non convince del tutto. Menzione speciale per Julia Garner, ammirata di recente anche in Appartamento 7A, prequel del capolavoro di Roman Polanski Rosemary’s baby – Nastro rosso a New York. L’attrice incarna una madre in apparenza algida e anaffettiva, completamente assorbita dal suo lavoro, in un “plastico” capovolgimento di ruoli tra lei e suo marito Blake. Curioso per la Garner, tra l’altro, l’aver interpretato nello stesso anno due film in cui l’interno di una casa rievoca suggestioni polanskiane sia dirette che indirette.
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