C’è ancora chi crede nella forza delle parole, chi sceglie la via meno battuta, quella della coerenza artistica prima che commerciale. Mario Grande è uno di questi. Il suo terzo album, Il corpo, l’anima e la mente, in uscita il 22 aprile e disponibile solo in formato fisico (CD e vinile numerato, acquistabile su www.mariogrande.com), è un atto d’amore verso la musica d’autore, quella che non si consuma ma si custodisce.

Dieci tracce per dieci racconti in musica che compongono un mosaico umano e sensibile, tra amore, fragilità, denuncia sociale e ricerca di senso. Un lavoro che si muove su una base cantautorale solida ma aperta a contaminazioni sottili: il folk, il rock, l’elettronica, il pop, il Mediterraneo. Ogni brano è un piccolo universo sonoro e narrativo, capace di parlare a chi ha orecchie attente e cuore disponibile.

L’apertura con Fari negli occhi è un biglietto da visita chiarissimo: una canzone che accarezza ma lascia il segno, capace di dar voce a chi si sente invisibile. È quasi una preghiera laica, una carezza che regala forza più che conforto. La title track Il corpo, l’anima e la mente ne raccoglie l’eredità spirituale: è il manifesto dell’intero disco, in cui si fondono anima e carne, pensiero e sentimento, poesia e vita vissuta.

Tra i momenti più alti c’è sicuramente I fiori di Cutro, brano intenso e necessario, che affronta il tema delle migrazioni senza retorica, ma con empatia profonda. L’arrangiamento mescola sonorità esotiche e malinconia europea, creando un ponte ideale tra i mondi.

La storia di un uomo che guarda il cielo rappresenta una svolta stilistica interessante: ha un respiro più pop, quasi da radio d’autore, ma non perde l’introspezione che contraddistingue il lavoro di Mario. Arriva nel cuore dell’album come una finestra di luce, un momento di leggerezza consapevole.

Poi c’è la parte più ruvida del disco: Il treno delle 7, dove l’elettronica incontra l’urgenza narrativa, e Una rosa in pugno, brano rock che vibra di rabbia, resistenza e speranza. Qui il cantautorato si fa più muscolare, senza perdere la finezza del tocco.

Tra le canzoni più dolci e intime spiccano Un secolo di te, che sembra cullare l’ascoltatore come una ninna nanna adulta, e Io ti guardo, una poesia sussurrata che potrebbe stare benissimo tra le pagine di una raccolta letteraria. Non meno evocativa è Acqua e terra, che chiude il disco in modo essenziale ma denso di significato: la voce e le parole bastano a evocare un’interiorità che si fa paesaggio.

Con Il corpo, l’anima e la mente, Mario Grande ci ricorda che il cantautorato non è morto, anzi: vive e pulsa ancora quando trova autori capaci di credere nel potere della narrazione, nel valore della parola, nella bellezza della fragilità. È un disco che non cerca scorciatoie, ma semina emozioni durature. E in un tempo in cui tutto corre, questa è una scelta che merita rispetto.

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