Dampyr: il mezzo vampiro avvia il Bonelli Cinematic Universe

Prima che la Walk on the wild side di Lou Reed apra le danze, con un prologo che mostra la venuta al mondo del personaggio di Harlan, interpretato da Wade Briggs, Dampyr è il lungometraggio che si propone di aprire la strada al Bonelli Cinematic Universe.

È infatti sui primi due albi dell’omonima serie a fumetti creata nel 2000 da Mauro Boselli e Maurizio Colombo ed edita dalla Sergio Bonelli Editore che prende le mosse la circa ora e cinquanta di visione ambientata nei primi anni Novanta durante la guerra dei Balcani.

Uno scenario in cui troviamo, appunto, il citato protagonista impegnato a sbarcare il lunario fingendosi un Dampyr, essere metà uomo e metà vampiro appartenente alla mitologia slava, capace di liberare i villaggi da quelle che i superstiziosi e creduloni abitanti pensano essere maledizioni legate al mondo dei succhiasangue. Fino al momento in cui, convocato da soldati attaccati da creature assetate di emoglobina, scopre di esserlo realmente trovandosi, di conseguenza, ad affrontare un terribile il Maestro della notte Gorka, interpretato dal David Morrissey della serie televisiva The walking dead.

Impresa in cui viene affiancato dalla vampira rinnegata Tesla Dubcek e dal soldato in cerca di vendetta Emil Kurjak, ovvero Frida Gustavsson e Stuart Martin; man mano che l’operazione s’immerge in una cupa atmosfera che, trasudante dominanti bluastre garantite dalla fotografia di Vittorio Omodei Zorini, conferisce non poco un sapore post-apocalittico.

Ed è in qualità di moderno western fortemente contaminato di elementi fanta-horror che si presenta Dampyr, discretamente ritmato dall’esordiente dietro la macchina da presa Riccardo Chemello e manifestante in maniera evidente influenze visive provenienti da precedenti modelli cinematografici e televisivi; da Blade a Underworld, passando per 30 giorni di buio e la serie Buffy l’ammazzavampiri.

Del resto, tra scontri assortiti e abbondanza di consueta effettistica digitale, è chiaramente all’universo degli young adult che guarda il tutto; sensazione confermata anche dal fatto che i produttori di Eagle pictures hanno affermato di voler creare da soli un franchise non avendo più a disposizione quello ormai terminato di Twilight, che avevano distribuito dalle nostre parti.

Quindi, pur senza spingere a gridare al capolavoro, Dampyr si rivela un film introduttivo che intrattiene più che sufficientemente senza annoiare lo spettatore (in particolar modo quello giovane); guadagnandosi un plauso rivolto soprattutto al notevole sforzo finanziario effettuato (oltre quindici milioni di dollari di budget) per testimoniare che anche il cinema italiano del terzo millennio è in grado di evadere dal provincialismo estetico e contenutistico che lo attanaglia da ormai troppo tempo e risultare tranquillamente esportabile.

Sebbene, a differenza di ciò che avvenne ai tempi d’oro della Settima arte tricolore di genere, l’italianità dell’insieme non sia affatto avvertibile. Ma ciò, in un secolo in cui il paese di Dario Argento e Mario Bava è rappresentato quasi esclusivamente da lungometraggi a base di drammi sociali o cabaret dialettali, deve essere considerato un pregio o un difetto?

 

 

Francesco Lomuscio

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