Alice was my Name di Brace Beltempo

Nel 2018 Brace Beltempo si era imposto sulla scena indie horror italiana col suo splatteroso The Carpenter’s House, suo film d’esordio. Nel 2021 il regista milanese torna a proporci una pellicola di forte impatto visivo, ma che dimostra una sincera crescita e padronanza del mezzo cinematografico, lasciandosi alle spalle molte delle ingenuità che avevano caratterizzato il suo esordio. Senza ricercare un’eccessiva originalità, Beltempo ci consegna un prodotto molto ben girato, a tratti persino lezioso, che avrebbe, certo, potuto osare di più, ma che dietro la patina da Revenge Movie nasconde un cuore profondo che indaga nell’animo di una giovane donna, dei suoi sogni, delle sue speranze, il tutto infranto dalla crudeltà e dalla smania di soldi di un gruppo di balordi che mercificano l’essere umano come fosse carne da macello. Alice was my Name, questo il titolo, colpisce dritto al cuore, fa male, tanto da lasciarci perplessi e feriti anche nel finale, che completa in negativo il coming of age violento a cui è sottoposta la giovanissima protagonista.

Alice è una ventenne molto carina, dagli occhi puri, il cui desiderio è quello di diventare un’attrice. Per realizzare il suo sogno si sottopone a molti provini, inviando anche self tapes che realizza nella sua abitazione, con l’unica compagnia del suo gatto nero. Non si sa nulla della sua famiglia, Alice sembra vivere da sola. Ogni giorno la ragazza corre qua e là per la città partecipando a vari casting, ma venendo, puntualmente, respinta. Dopo l’ultimo provino andato male, la giovane è raggiunta da un fotografo di scena, che le dice di lavorare anche per un’altra produzione, e che probabilmente ci sarebbe un ruolo proprio adatto a lei. Alice, fiduciosa e felice, dopo aver acquistato ed indossato un abito bianco da bambolina che la valorizza, armata del suo sorriso migliore, con la speranza negli occhi e le sue converse ai piedi, si reca così nel luogo indicatogli dal fotografo per sottoporsi al provino. Ma la realtà che l’aspetterà una volta varcata quella porta e imboccato il lungo ed oscuro corridoio andrà ben oltre i suoi incubi più oscuri. “Tu sai che cos’è uno snuff movie?”…

A partire dalla scelta della protagonista si capisce che Brace Beltempo questa volta ha fatto centro: la 23enne milanese Melissa di Cianni è assolutamente perfetta nel ruolo della dolce Alice, e coi suoi occhioni azzurri stralunati e sognanti crea fin da subito un’empatia che non sempre è facile raggiungere con un personaggio. Il suo percorso è quello di una crescita forzata: quasi ancora bambina all’inizio, donna fatta e finita alla fine, che abbandona le converse in favore di quanto mai fetish tacchi a spillo neri che la dicono lunga sullo stupro interiore vissuto da questa candida creatura. Alice è l’agnello immolato che si rivolta a coloro che vogliono offrirla in olocausto, e con sorprendente freddezza si trasforma in una novella Beatrix Kiddo, pronta a fare di tutto per vendicare i suoi sogni infranti, anche a passare sopra ad ogni forma di compassione o tenerezza. L’urlo liberatorio nella vasca da bagno la monda della sua innocenza per rivestirla di vendetta e sangue, fino all’ultima stilla. Se il primo paragone nasce spontaneo con la sposa tarantiniana di Kill Bill, l’interpretazione toccante e sofferta della di Cianni mi ha ricordato quella di un’altra “sposa”, la Samara Weaving di Finchè Morte non ci separi, film della coppia Bettinelli-Olpin/Gillett del 2019, nel quale un’altra giovane poco più che ventenne, Grace, si troverà bersaglio di un tragico gioco, che però riuscirà con estrema cazzutaggine a volgere a suo vantaggio, vendicandosi di tutti coloro che la volevano morta. Rispetto al film statunitense, però, in questo prodotto Made in Italy manca ogni qualsivoglia forma di ironia, Beltempo non ci strappa mai una risata, nemmeno per sbaglio, e ci trasporta in una realtà cupa, che più cupa non si può. Il mondo controverso e dibattuto degli Snuff Movie è in qualche modo assimilabile a quello del commercio illegale di organi umani: in entrambi l’essere umano funge solo da involucro, che serve finchè porta soldi, dopodiché può tranquillamente essere smaltito nell’umido come rifiuto generico. E questo spaventa ed atterrisce ancora di più di tanti mostri, zombie, vampiri o gremlins vari, in quanto, molto probabilmente, reale nei sottoboschi più marci del mondo.

Altro punto di forza del film, oltre alla giovane protagonista ed alla banda di loschi figuri che la circondano, è la bellissima location, molto sfruttata in ambito horror, di Crespi d’Adda, villaggio operaio in provincia di Bergamo, il cui cimitero monumentale fa da sfondo a classici quali Macabro di Lamberto Bava del 1980, ma anche a opere indie decisamente più recenti come ad esempio Hypnosis del 2011 di Davide Tartarini e Simone Julian Cerri Goldstein. L’enorme cimitero in cui troneggia il mausoleo della famiglia Crespi è uno scenario perfetto in cui far perdere Alice coi suoi folli propositi di vendetta e nella mano un trapano deliziosamente ferrariano.

Molti sono i maestri del Cinema a cui Beltempo strizza l’occhio nel suo film, ad esempio Lucio Fulci, di cui verrà usato, come indicazione geografica, il titolo di uno dei suoi più grandi successi, Quella Villa Accanto al Cimitero. La lentezza esasperante di alcune scene, talvolta, a mio parere, fin eccessiva, perché smorza un po’ il ritmo incalzante tipico del Revenge Movie, sembra voler rendere omaggio al genio visionario di Lars Von Trier, ed il buio corridoio sul quale si aprono, socchiuse, diverse porte misteriose da cui fuoriesce una cupa luce rosso mattone, richiama senza dubbio quello altrettanto ignoto e carico di suggestioni del Suspiria argentiano.

Se il cast risulta generalmente abbastanza adatto ai ruoli che deve ricoprire, c’è chi emerge in positivo e chi in negativo. Degno di nota è senz’altro l’attore milanese Claudio Savina, nel ruolo di un anziano padre che per amore del figlio e della nipote si macchierà di crimini che lui stesso condanna, e si piegherà senza resistenza al destino che il fato ha in serbo per lui. Davvero un’interpretazione ben centrata e decisamente empatica. Totalmente fuori ruolo è invece la giovane Melissa Lambertini, adatta ad interpretare Cappuccetto Rosso nello spot della Brondi, ma molto di meno a rendere una bambina che dovrebbe suscitare pietà nello spettatore ma che sembra assolutamente fuori da ogni contesto o emozione. Senza contare che a 14 anni non ha nemmeno il fisic du role adatto a tale parte, che avrebbe richiesto, per non cadere nel ridicolo involontario, una bambina decisamente più piccola.

Molto ben orchestrate sono le scene dei vari omicidi che compongono questo vero e proprio body count, alcune delle quali di fortissimo impatto visivo, caratterizzate da un vedo/non vedo intriso di sangue quel tanto che basta a non eccedere, che molto giova alle opere caratterizzate da un basso budget produttivo. Condite con urla perforanti (che rendono la giovane Melissa una promessa come futura Screaming Queen Made in Italy!), musiche stridenti ed ossessive e rumori di sottofondo, tali sequenze seguono un ritmo quasi ipnotico, che incatena lo spettatore allo schermo nonostante sia ben chiara la fine di ogni singolo personaggio, e portano a sottolineare come questo film sia di quelli da ascoltare a tutto volume per poterne carpire appieno il potenziale. Tutte le sorti sono chiare, dicevamo, tranne quella di Alice, la quale, come si può forse intuire dal titolo, ed ancor di più dal racconto fuori campo in prima persona che accompagna la sequenza introduttiva,  si scrollerà forzatamente di dosso la sua identità per abbracciarne un’altra, ma si fa fatica a credere che sia proprio quella. Probabilmente, a ben guardare, Brace Beltempo non poteva far finire il suo film in altra maniera, ma non posso aggiungere altro per non spoilerare, visto che non voglio assolutamente rovinarvi la sorpresa. Dico solo che forse, visto come il personaggio di Alice era stato tratteggiato fin dall’inizio, si poteva pensare a un destino diverso per lei, ma queste sono solo elucubrazioni mentali mie.

Ottimi la fotografia vintage che caratterizza l’intera pellicola, dello stesso regista, la violenza, anche nelle scene più forti, mai ostentata, che poi è quella che fa più male, il nichilismo che permea tutta l’opera a livelli disturbanti, ed ovviamente la regia di Beltempo, precisa e pulita come difficilmente si trova in un prodotto indie, senza fronzoli e tecnicamente di alto livello. Il regista, del resto, viene dall’underground musicale, avendo firmato diversi videoclip, che sono spesso il banco di prova per le nuove generazioni di filmaker italiani. Col suo Rape&Revenge, che omaggia ma certo non copia i classici del genere quali L’Ultima Casa a Sinistra di Wes Craven e Non Violentate Jennifer di Meir Zarchi, Beltempo si impone prepotentemente nella scena indie italiana, lasciando un segno non indifferente negli occhi e nel cuore degli estimatori del genere. Senza sconti di sorta, Brace ci getta in faccia una realtà cruda, sporca, dove l’animo puro di Alice viene insozzato come il suo candido vestitino bianco, che ella sceglierà di tenere addosso fino all’ultimo, per liberarsene quando avrà portato a termine il suo millimetrico piano di rinascita. Alice was my Name, lo avrete quindi capito, non è un filmetto da vedere con leggerezza, ma è un’opera che fa male, tremendamente male, grazie anche all’eccellente performance dell’esordiente Melissa di Cianni, e si conclude nella maniera più cinica e crudele che si possa immaginare. Emblema di tutte quelle bambine e ragazzine che sono vittime della lussuria e della violenza degli uomini, Alice/Melissa ha tutte le carte in regola per divenire una delle eroine più interessanti dell’indie italiano contemporaneo.

 

https://www.imdb.com/title/tt15881684/

 

Ilaria Monfardini