JOHNNY CASINI: l’America prima di tutto

Ed eccovi un progetto che di estetica e di mondo, così come di suono e di visioni, ne è pieno il pentagramma. Come dire che al nostro Johnny Casini non bastava la sua Correggio, non bastavano i fantasmi e gli eroi nostrani. Al nostro Johnny Casini la fortuna ha consegnato l’America e l’Inghilterra, ha consegnato il grandissimo Phil Manzanera come vate condottiero alla produzione, ha consegnato la capacità di scrivere e produrre qualcosa che davvero non ha niente da invidiare al mondo dei grandi nomi internazionali. Ecco però che l’estetica diviene seconda ai media: pensiamo solo se un brano come “Dark Sunglasses” venisse cantato da un nome in cima alle hit internazionali. Non è difficile pensare che, opportunamente rivisti nei dettagli proprio, un brano come “I’n Not Blind For You” possa venir fuori anche da scene come Arctic Monkey o il surf di “This is the Place” magari rivisto e corretto dalle leggerezze dei Cure. Johnny Casini pubblica “Port Louis”, un EP di sfacciato stampo internazionale e, ci ripetiamo, qui l’estetica magistralmente curata da grandi musicisti e dal famoso producer inglese, paga il pegno di non essere già famoso di suo. Altrimenti questo disco come il suo video ufficiale lo vedremmo proiettato altrove… ma proprio altrove…

Estetica. Noi parliamo molto di estetica e iniziamo sempre le domande chiedendo ai nostri ospiti: cos’è l’estetica? Per te che valore e che peso ha nella composizione di un disco e nell’apparire come artista?
“L’arte è la  disposizione  che l’uomo  dà alla materia  sensibile  o intelligibile per un fine estetico.”  (James Joyce). L’estetica che è una sensazione percepita attraverso i sensi è quindi il fine ultimo di un qualsiasi artista. Il quale ha il diritto e il dovere di trascendere la realtà e trasformarla in opera d’arte, quindi deve fotografare, bloccare, incatenare un momento sensibile su un pezzo di carta, sulla tela, sulla pietra, negli impulsi elettrici, nell’aria. L’estetica nella composizione di un disco è la spina dorsale per dare un senso e una direzione al progetto artistico. Dalle melodie agli arrangiamenti per passare all’utilizzo delle parole giuste, i colori e le immagini che circondano il progetto, il look personale da portare durante le esibizioni live e la vita quotidiana. Diventi attore, personaggio e protagonista della tua stessa opera. Interpreti i sentimenti attraverso tutti i sensi e quindi esprimi l’esteticità della tua arte vivendola. Quindi il peso e il valore dell’estetica nella musica e in tutta l’arte è fondamentale.

Poi inevitabilmente la figura di Phil Manzanera traina tutto come una valanga. Ma levandoci di dosso la scena e la medianicità, è stato davvero così importante per la riuscita del disco? Diversamente cioè, che disco sarebbe uscito fuori? O magari non sarebbe accaduto niente di tutto questo… non è così?
La produzione di Phil Manzanera ha rifinito le mie composizioni grezze. Le ha affinate e ripulite. Questi differenti particolari suoni che poi determinano il disco finale sono definiti dai miei ascolti, dalle mie sensazioni e dagli arrangiamenti effettuati in collaborazione con diversi musicisti (Gus Robertson (Razorlight), Javier Weyler (Stereophonics), Michael Boddy (Bryan Ferry & Roxy Music), Paddy Milner (Todd Sharpville, Tom Jones) e Yaron Stavi (Richard Galliano, Robert Wyatt, David Gilmour)) tutti con influenze musicali personali differenti sotto la supervisione importantissima e determinante di Phil Manzanera.
Il mio lavoro di composizione quindi non è stato contaminato dal punto di vista della scrittura, ma ha avuto un valore aggiunto grazie agli arrangiamenti, ai consigli tecnici e al lavoro di registrazione.
Alcuni anni fa ho avuto la fortuna di incontrare Claude Ismael (Youssou N’Dour, Kool & the Gang, Rita Marley, Barry White, Frank Zappa, The Cure…) durante un concerto nelle mie zone. Questo incontro è stato decisivo per quello che ho sempre sognato di fare. Tra di noi è nato un bellissimo rapporto professionale che si è trasformato anche in uno di amicizia. Claude mi ha introdotto nel mondo musicale a livello professionale. Questo mi ha permesso di registrare il mio primo disco con Phil Manzanera. Che disco sarebbe uscito se tutto questo non fosse accaduto o non avessi avuto questi incontri? Come diceva Vinicius De Moraes “la vita è l’arte dell’incontro, malgrado ci siano tanti disaccordi nella vita”.

L’America e l’Inghilterra. Sono tantissime le influenze e tutte molto classiche, parlando di musica che si avvicina al tuo mondo. Probabilmente i Beatles su tutto. Ma hai mai fatto caso che dietro questi grandi nomi c’è sempre una cura importantissima dell’estetica? Una cura che per alcuni aspetti è quasi prioritaria ai contenuti artistici… cosa ne pensi?
Come dicevo nella prima risposta è l’estetica che fa da collante tra il contenuto e l’artista. Credo che un grande artista debba curare i contenuti e tener conto anche molto di questo collante che unisce la musica all’artista stesso. Tutti gli artisti citati sopra sono un esempio di come contenuti di qualità si mescolano a un’esteticità studiata per risaltare il contenuto stesso e l’artista.

Che poi, parlando di “Dark Sunglasses” anche questi vezzi sono di mera estetica… e la tua musica ci bada moltissimo, almeno credo. Che mi dici?
Quando ho scritto “Dark Sunglasses” ho pensato ad un brano che con metafore rappresentasse le difficoltà che i ragazzi hanno nelle loro scelte difronte ai propri cambiamenti di vita. In particolare in questo brano ho evidenziato i “Dark Sunglasses”. Infatti, per me rappresentano un filtro da mettere sugli occhi ogni volta che non vogliamo vedere la verità che ci circonda. Le scelte di vita sono personali e gli altri che ti osservano da fuori spesso pensano e giudicano senza conoscere. Anche il video vuol comunicare questa stabilità materiale apparente evidenziando i forti contrasti interiori. Il senso di quello che personalmente ho voluto comunicare è l’esorcizzarli. Attraverso questa esteticità voglio comunicare il messaggio e il contrasto che attraversa come matrice matematica ogni persona quando è difronte a scelte importanti o comunque obbligate derivanti dai grandi cambiamenti della vita.

Tornato in Italia? La tua musica come vive questo impatto sociale?
Sono in continuo viaggio e in Italia oltre a tornarci per motivi professionali ci ritorno perché qui ho “Casa”. Io non so che impatto sociale potrà avere la mia musica nel panorama Italiano nel prossimo futuro. Per ora sono molto contento dei risultati ottimi che sta ottenendo. Sono molto fiero del lavoro effettuato e sono anche certo di una cosa che la musica e l’arte in generale per me non hanno confini. Il mio intento è di trasmettere le sensazioni, le emozioni senza barriere culturali o sociali. Mantengo quindi un panorama visivo e psicologico molto aperto.

Dunque ad oggi: Johnny Casini “si sente ancora italiano”?
Sono orgoglioso e ho un legame fortissimo con le mie origini. Sia quelle da parte mio padre quindi lato Italiano sia di mia madre quindi lato Mauritius e di mio nonno quindi il lato Inglese. Mi hanno trasmesso la coscienza di sentirmi parte del mondo intero senza barriere e confini.
La mia composizione artistica è anche frutto di questa sinergia e l’amalgama d’influenze differenti.

Ultima curiosità, assai estetica… porterai questo disco a Port Louis?
Port Louis è la capitale delle isole Mauritius: la Nazione in cui è nata mia Madre e quindi una delle due mie metà come detto in precedenza. Essendo anche un porto marittimo, ho cercato di creare un’immagine metaforica in cui su una piccola barca partivo, navigavo e attraversavo l’immensità degli oceani alla ricerca dei miei sogni. Tutto ciò rappresenta uno stato di libertà, di sofferenza e di gioia, di ricerca, di speranza, di amore puro verso le proprie paure e i propri limiti.
Non c’è niente di organizzato ora, ma sicuramente l’intenzione o comunque la voglia di farlo c’è.