Monte Verità: Stefan Jäger e la ricerca della libertà

Presentato presso il settantaquattresimo Locarno Film Festival, Monte Verità è un film diretto dal cinesta svizzero Stefan Jäger.

Pochi forse conoscono le vicende legate al Monte Monescia, poi ribattezzato Monte Verità, vicino ad Ascona, nella Svizzera meridionale: in quei luoghi, infatti, durante i primissimi anni del Novecento, nacque una comunità utopica guidata dal dottor Otto Gross, dove ricongiungersi con la natura e ritrovare le proprie inclinazioni.

Di questa comunità fecero parte anche illustri personaggi, tra cui Herman Hesse, Isadora Duncan e molti altri. Sul monte ognuno aveva un compito da svolgere, proprio come in una qualsiasi comune degli anni Settanta e, non a caso, gli stessi Hippie si ispirarono al Monte Verità e alla sua metodologia. La protagonista, Hanna Leitner, interpretata dalla bravissima attrice viennese Maresi Riegner, è ingabbiata in una realtà borghese, con un marito che la sminuisce e la svilisce e un ruolo, quello di moglie e madre, nel quale non si riconosce più. Abbandona quindi la sua immensa dimora viennese e raggiunge il Monte Verità, del quale il dottor Gross, che l’aveva visitata per una forte asma, le aveva parlato. Qui inizia presto a relazionarsi con gli altri compagni, a ritrovare se stessa e la sua serenità interiore: il suo sogno è diventare fotografa e inizia a sperimentare un nuovo modo di immortalare i suoi soggetti. Si immerge nella quiete della natura che la circonda, rifugiandosi spesso sulla cima del monte, la cui vista sul lago sottostante lascia senza fiato. Si fa cullare dal rumore delle fronde degli alberi mosse dal vento e, pian piano, ritrova la fiducia in se stessa che aveva perso nei meandri di doveri coniugali a lei non confacenti.

Con Monte Verità il regista racconta una vicenda non particolarmente nota al pubblico, che ebbe grandi ripercussioni sui decenni successivi soprattutto per la tematica affrontata, ovvero la ricerca della libertà, quella stessa libertà che di lì a poco le suffragette avrebbero rivendicato nel Regno Unito. Lo fa crogiolandosi in un lavoro di ampio respiro, nel quale l’esercizio di stile sembra di tanto in tanto prendere il sopravvento, per poi rivelare sequenze poetiche e suggestive in cui i primi piani si fondono con il verde dei prati e degli alberi e in cui i protagonisti, mediante un gioco di sovrimpressione, passano dal colore al bianco e nero delle foto. Foto che scopriremo essere alcune delle pochissime testimonianze di quella comunità che nei primi anni del Novecento raccolse uomini e donne di diversa provenienza, diventando un punto di riferimento per chi voleva sganciarsi da imposizioni e restrizioni sociali.

La musica si sposa con le immagini, facendosi portavoce di drammi interiori e collettivi ma, oltre all’eccezionale bravura del cast, ciò che maggiormente colpisce nel film di Jäger è la cura dedicata ai dettagli: dai costumi alle acconciature, passando per gli arredi, i gioielli e perfino le suppellettili, i primi del Novecento sono ricostruiti con immensa maestria, ricordando certi dipinti di Giovanni Boldini e restituendo la rigidità e l’austerità tipiche dell’epoca, ma anche l’attenzione per la forma che, nel caso delle donne, si esprimeva tramite gli splendidi abiti in cui pizzi e trine dominavano sugli altri tessuti. Monte Verità scorre lento, ma di una lentezza mai fastidiosa. Come la sua stessa protagonista, incede passo dopo passo verso la scoperta di sé e offre un meraviglioso omaggio alla fotografia, mostrandone non solo il vecchio apparecchio con le costose lastre da inserire e il telo scuro sotto al quale posizionarsi, ma regalando, con un altro intrigante esercizio di stile, l’inquadratura capovolta che tanto significato acquista nel film. Interessante e assolutamente ben confezionato. Se avete voglia di scoprire una storia meno nota, di ammirare splendidi paesaggi e di ascoltare alcuni tra i più bei brani di musica classica, Monte Verità è il film che fa per voi.

 

 

Daria Castelfranchi