La casa in fondo al lago: gli orrori sommersi degli autori di Leatherface

Girato in POV, l’inizio, con dialoghi riguardanti un’infermiera che uccise alcuni bambini, spingerebbe a pensare che La casa in fondo al lago possa essere un derivato del non disprezzabile ESP – Fenomeni paranormali, diretto nel 2011 da Colin Minihan e Stuart Ortiz sotto pseudonimo The Vicious Brothers.

Nel momento in cui leggiamo che al timone di regia si trovano i francesi Julien Maury e Alexandre Bustillo, invece, viene immediatamente da presagire che lo spettacolo a cui stiamo per assistere riserverà non poche secchiate di liquido rosso e frattaglie, considerando che si tratta degli autori dell’ottimo thriller trasudante gore Inside – À l’intérieur e di Leatherface, violentissimo prequel della saga Non aprite quella porta.

Ma non è così, in quanto, se da un lato gli unici accenni di splatter li abbiamo nei crudi filmati che vengono rinvenuti durante la fase conclusiva della circa ora e venti di visione, dall’altro la macchina da presa in continuo movimento non intende delineare questa volta l’ennesimo found foutage di blairwitchana ispirazione.

Sfruttando il pretesto della coppia di giovani youtuber interpretati da Camille Rowe e James Jagger destinati a scoprire una casa sommersa nelle acque profonde di un remoto lago d’oltralpe, infatti, i due cineasti sembrano stavolta decisi ad abbracciare la tradizione dell’horror di metà XX secolo, tutt’altro che propenso al facile ricorso a raccapriccianti effetti speciali di trucco.

E, con qualche eco vagamente proveniente da Sinister di Scott Derrickson, mettono in piedi un’operazione che potremmo quasi definire in qualità di variante in salsa ghost story di 47 metri, shark movie a firma di Johannes Roberts.

Del resto, come lì avevamo due sorelle intrappolate in una gabbia nelle acque del Messico infestate da squali, ne La casa in fondo al lago abbiamo i due protagonisti bloccati tra i resti della dimora che fu, a quanto pare, teatro di crimini atroci.

Protagonisti che possono fare esclusivo affidamento alle loro riserve d’ossigeno; man mano che, nel costruire la tensione del tutto in immersione, Maury e Bustillo sembrano quasi guardare al sottovalutato Tentacoli di Ovidio Assonitis. Sebbene qui, oltre a pesci che irrompono improvvisamente nelle inquadrature, a movimentare la situazione provvede il ritrovamento di oggettistica assortita, dalle bambole a pellicole Super 8.

Con la claustrofobia destinata ad imporsi fotogramma dopo fotogramma e la mitica You don’t own me di Leslie Gore riletta da Jacqueline Boyer a fare da inquietante commento sonoro; fino all’entrata in scena delle figure spettrali che rappresentano uno dei principali motivi d’interesse de La casa in fondo al lago, esercizio di stile non troppo originale ma confezionato in maniera altamente professionale.

 

 

Francesco Lomuscio