Lourdes: un documentario sul luogo in cui c’è qualcosa che supera anche la fede

Ritenuto dall’illustre website AlloCiné tra i quindici migliori documentari degli ultimi dieci anni, in virtù delle soluzioni espressive concepite dietro la macchina da presa dagli affiatati registi transalpini Thierry Demaiziere e Alban Teurlai, bravi nel precedente film incentrato su Rocco Siffredi ad appaiare il dinamismo dell’azione alla dinamicità interiore, Lourdes tiene desta l’attenzione degli spettatori dall’inizio alla fine.

Ed è già una nota di merito non indifferente se si tiene conto degli inattesi ma implacabili colpi di sonno che spesso e volentieri colgono in flagrante i critici attanagliati da una noia di piombo spacciata poi per profondità introspettiva. Rispetto a Rocco, con le inquadrature ravvicinate intente a catturarne, insieme agli impietosi solchi del tempo, persino la furtiva lacrima, il desiderio di creare un’autentica esperienza visiva prevale sull’intelaiatura agiografica ed elegiaca.


Non si trattava, d’altronde, di mettere davvero a nudo il re per antonomasia dell’hard, di mostrare lo sconforto celato dall’ardore della brama carnale, d’inserire nell’effigie cruda ed emblematica degli eventi, fuori dal set adibito ad alcova, l’ennesimo richiamo ai capolavori del cinema di finzione, da L’impero dei sensi di Nagisa Ōshima a Shame dell’estroso Steve McQueen, con l’amor vitae frammisto al cupio dissolvi. Sbaglia chi, superficialmente, salta alle conclusioni etichettando l’opera alla stregua d’un passaggio di consegne. Dal diavolo all’acqua santa. L’ampio ricorso ad alcuni enfatici dolly verticali e, di contro, alle sobrie carrellate orizzontali conferma la predilezione per l’opportuno valore drammatico connesso in filigrana alla padronanza tecnica del mezzo riproduttivo. Ben lungi dal tralignare in mero tecnicismo. Tuttavia l’innesto degli intimi soliloqui, frutto dei pensieri nascosti, sulla medesima falsariga tracciata dall’esperto Wim Wenders ne Il cielo sopra Berlino, stenta ad assumere una funzione altrettanto creativa ed empatica. Sotto questo aspetto Lourdes richiama alla mente le odi panteiste care a Terrence Malick, senza però eguagliare l’arte pindarica e antinarrativa nel cogliere dal vivo le attese di chi si reca in visita presso il Santuario, ed esemplifica così l’atroce tensione patita dagli esseri umani condannati, vita natural durante, dalle atroci lesioni ischemiche e dall’emiparesi.

Qualcuno volò sul nido del cuculo del compianto Miloš Forman comunica qualcosa di molto più incisivo ed emozionante, sia pure di riflesso rispetto al tema egemonico, in merito alla falsa follia, sul senso di muto smarrimento degli infermi. Curati con rimarchevole condiscendenza dagli addetti. Quantunque costretti a pescare le espressioni accessibili in un Mare Magnum di mesto e scostante nonsense. L’impressione che Thierry Demaiziere e Alban Teurlai, smarrito strada facendo l’ingegno palesato in Rocco attraverso la dinamica campo-controcampo con l’immusonito protagonista allo specchio, come negli apologhi bergmaniani, abbiano saccheggiato alla bell’e meglio l’illusione della messa in scena, per rafforzare il timbro d’autenticità, prende piede man mano. L’aura contemplativa, svilita dalle componenti manieristiche dei semitoni programmatici, resta una chimera. Lo sforzo profuso per indurre il pubblico a porsi dei seri interrogativi sull’esistenza, ed ergo sulle ragioni degli spasimi sofferti dai pellegrini incapaci di camminare e talora anche di aprir bocca per emettere suoni chiari, risulta comunque degno d’elogio.


A persuadere assai meno sono i confessionali con i quali i raminghi con la speranza nel cuore snudano l’anima. O, almeno, ci provano. A fare un valido giro di boa è, invece, il montaggio alternato. Che, grazie al supporto dei giusti raccordi, coglie nel segno. L’impianto corale, col bagno nella piscina contenente l’acqua miracolosa e le inesauste preghiere giustapposte al balenio del dubbio che lacera di proposito la compattezza del quadro d’insieme, trascende quindi l’impasse delle geometrie fredde. Per permettergli di perdere del tutto l’immobilità tipica dei monumenti algidi e respingenti sarebbero dovuti passare in cavalleria gli escamotage restii a fungere da richiami citazionisti. L’effetto involontario, agli occhi dei fruitori avvertiti, incide sulla sospensione dell’incredulità. Una contraddizione in termini dinanzi alla registrazione convalidata del luogo dove la fede cede alla dolce immanenza. Le platee meno avvedute, benché credano di veder appagate le aspettative concernenti la capacità di presa immediata, congiunta alla lentezza ipnotica scandita anche dalla virtù della fotografia di scrivere con la luce, avvertono la mancanza dell’egemonia dello spirito sulla materia. Un anelito invisibile che paga in Lourdes lo scotto ad accumuli ampollosi ed elementi scontati.

 

 

Massimiliano Serriello