Stasera in tv Race – Il colore della vittoria di Stephen Hopkins

Stasera in tv su Iris alle 21 Race – Il colore della vittoria, un film del 2016 diretto da Stephen Hopkins. Film biografico sull’atleta afroamericano Jesse Owens, che vinse quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi del 1936 a Berlino, del cast fanno parte Stephan James, nel ruolo di Owens, Jason Sudeikis, Jeremy Irons, William Hurt e Carice van Houten. Il titolo gioca sul doppio significato della parola race, che in inglese significa sia “razza” che “corsa”.

Trama
La storia delle lotte e dei sacrifici di Jesse Owens per diventare il più grande corridore e saltatore del mondo durante le Olimpiadi del 1936, dove fu costretto ad affrontare le convinzioni di Adolf Hitler sulla supremazia ariana.

Race – Il colore della vittoria è il film che ti aspetti, che ricostruisce in maniera a volte verosimile, altre più romanzata, una storia incredibile, che da sola possiede la forza di animare il più vivo interesse, laddove l’impresa di Jesse Owen (interpretato da un misurato Stephan James) non può non suscitare una sentita ammirazione, giacché ridicolizzare impietosamente, davanti a un pubblico ostile (e soprattutto davanti allo stesso Hitler), le deliranti idee che vennero propagandate durante l’apogeo del nazionalsocialismo fu un fatto unico, senza precedenti, che, da solo, almeno sul piano squisitamente etico, preparò la rovinosa sconfitta di quello che fu il più grande ‘equivoco’ della Storia.

Il film di Stephen Hopkins, che già si era cimentato col genere biografico realizzando Tu chiamami Peter, il discusso film sulla vita dello straordinario Peter Sellers, scorre senza intoppi, sebbene talora paia semplificare alcuni passaggi che probabilmente avrebbero richiesto un maggior approfondimento, quantunque mantenga costante l’attenzione dello spettatore, che anela di arrivare al fatidico momento in cui l’uomo più veloce del mondo penetrò nello stadio costruito appositamente per le Olimpiadi del 1936, infliggendo, quando ancora era all’apice del suo splendore, un durissimo colpo all’apparato ideologico che Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich, tentò in tutti i modi di radicare e diffondere. Non mancano, infatti, alcuni gustosi dialoghi in cui il ‘secondo’ di Hitler si confronta prima con Avery Brundage (Jeremy Irons), il responsabile del comitato olimpico degli Stati Uniti, in merito alla necessità di fornire garanzie circa l’equità di trattamento per gli atleti ebrei e di colore (che poi verranno in parte disattese), e successivamente con Leni Riefenstahl (una discreta Carice van Houten), quando, dopo aver preso atto del trionfo di Owen, si voleva boicottare il monumentale film che la cineasta stava strenuamente tentando di portare a termine (si pensi che vennero usate contemporaneamente 45 cineprese per effettuare le riprese delle gare).

Owen viene raffigurato come un uomo semplice, buono d’animo, nonostante la lieve sbandata che, in seguito dell’incremento della sua fama, prese per una donna conosciuta in un night, provocando non poco dolore alla compagna con cui già aveva una figlia (che successivamente sposò e con cui visse fino alla morte). Ma, a parte questo episodio, l’atleta seppe sempre mantenere un comportamento dignitoso, senza mai dimenticare le proprie umili origini, alle quali rimase fedele. Il suo allenatore, l’ex corridore bianco Larry Snyder (Jason Sudeikis), intrattenne immediatamente con lui un rapporto affettivo, quasi paterno, ed è proprio a partire da questa felice relazione che prende corpo il principale nodo narrativo del film, laddove lo sport diviene un luogo in cui le differenze cadono e ciò che rimane è l’essenza dell’individuo, il suo essere uno tra gli altri, e ciascuno dà il proprio meglio senza pensare ad altro. “Quando corro, sono libero”, dice Jesse, ed è quel momento di massima intensità che ne fa un eroe dei nostri tempi, capace di riscattare, almeno per un istante, tutti quegli uomini e quelle donne ingiustificatamente discriminati (da non dimenticare, per altro, il profondo razzismo che ancora imperava nell’America degli anni Trenta).

La decisione sofferta del comitato olimpico statunitense di partecipare, nonostante tutte le riserve, a quei giochi di Berlino, fu una scelta felice, capace di far penetrare, come un ariete, nella roccaforte del nazismo, un simbolo di purezza che avrebbe demolito, col suo solo ‘esserci’, le pesanti barriere erette dal delirio comunitario del Terzo Reich. Una storia davvero esemplare che, al netto di qualche innocua osservazione, è stata degnamente messa in scena. I quattro ori conquistati da Owen in quel lontano 1936 ancora brillano ardentemente, illuminando con un fascio di luce il periodo più buio della nostra Storia recente.

 

 

Luca Biscontini