Stasera in tv su La7 alle 21,15 Philadelphia di Jonathan Demme, con Tom Hanks e Denzel Washington

Stasera in tv su La7 alle 21,15 Philadelphia, un film del 1993 diretto da Jonathan Demme. Tratta il delicato tema dell’AIDS, malattia che raggiunse il culmine della sua drammaticità negli anni Novanta. Trae vaga ispirazione da vicende accadute anni prima a Boston. Fu una delle prime grandi produzioni cinematografiche a trattare in maniera esplicita il tema dell’AIDS. Per il ruolo del protagonista Andrew Beckett, poi affidato a Tom Hanks, furono interpellati anche Daniel Day-Lewis, Michael Keaton e Andy García. Il personaggio di Andrew Beckett è al 49º posto tra gli eroi nella lista dell’American Film Institute Top 100 Heroes and Villains. Le riprese del film incominciarono il 20 Ottobre 1992 e si conclusero il 4 Febbraio 1993. Tom Hanks dovette perdere 14 chili per apparire adeguatamente sciupato nelle scene in tribunale; per questo motivo il film è stato girato in sequenza cronologica. I malati di AIDS che si vedono nel film sono persone realmente malate. Molti di loro morirono pochi mesi dopo la fine delle riprese. Uno degli elementi portanti del film, accanto alle interpretazioni del pluripremiato Tom Hanks e di Denzel Washington, è la musica, che sostiene quasi tutte le scene principali: alla colonna sonora composta da Howard Shore, si affiancano i brani Streets of Philadelphia all’inizio del film e Philadelphia nel finale, i cui autori Bruce Springsteen e Neil Young ottennero rispettivamente il premio Oscar alla migliore canzone e una nomination per il medesimo riconoscimento. Con Tom Hanks, Denzel Washington, Antonio Banderas, Roberta Maxwell, Jason Robards.

Trama
Andrew Beckett è un giovane e brillante avvocato, tra i collaboratori di punta di uno dei più prestigiosi studi legali di Philadelphia, ma viene licenziato in tronco quando i suoi datori di lavoro scoprono che ha contratto l’Aids. Beckett vuol far valere i suoi diritti e si rivolge a parecchi avvocati, ma nessuno accetta. Anche il celebre penalista nero Joe Miller in un primo tempo rifiuta l’incarico, ma avendo incontrato Beckett in una biblioteca, dove questi sta preparandosi a sostenere la causa da solo, cambia idea.

Non è ancora iniziato il film che già partono le note della struggente Streets of Philadelphia di Bruce Springsteen e Neil Young ad accompagnare, durante lo scorrimento dei titoli di testa, alcune scene di vita quotidiana della celebre città americana. Il compianto Jonathan Demme (premio Oscar alla regia per Il silenzio degli innocenti nel 1992) con potente semplicità immerge subito lo spettatore nel dramma vissuto dal protagonista: la sua incurabile malattia lo allontana di colpo dall’umanità, perché l’AIDS, in quel periodo, provocava, come viene ribadito chiaramente durante il film, una morte sociale prima ancora che fisica. Omosessualità e malattia erano irrimediabilmente associate all’inizio degli anni Novanta, anzi molti sciagurati rincaravano la dose, considerando il contagio una sorta di punizione divina per la ‘presunta aberrazione’.

A posteriori, uno spettatore attento non può non associare quell’incipit così suggestivo alla sequenza in cui Andy Beckett (uno strepitoso Tom Hanks, dimagrito di ventisei chilogrammi per interpretare il suo ruolo), una volta uscito dallo studio dell’avvocato Joe Miller (l’eccellente Denzel Washington), dopo aver incassato l’ennesimo rifiuto rispetto alla sua richiesta di essere assistito per intentare una causa contro il potente studio legale che lo ha discriminato, è solo. Una solitudine siderale, che lo esclude da qualsiasi afflato comunitario all’interno di cui poter essere riconosciuto in quanto soggetto e trovare un adeguato sostegno. Il volto impietrito e provato di Hanks in primissimo piano e la musica di Springsteen creano un effetto emotivo dirompente che penetra lo spettatore, convocandolo fortemente a immedesimarsi, a provare empatia, impedendogli di trincerarsi dietro a una comoda distanza da cui emettere giudizi distaccati. Insomma, Demme riesce magnificamente a far emergere il dramma umano di Andy, inserendolo perfettamente nel contesto di una piaga sociale che stava scuotendo nel profondo l’opinione pubblica mondiale, anche in virtù di una campagna mediatica di informazione senz’altro necessaria, ma dai toni spesso terroristici.

E poi, manco a dirlo, l’altra indimenticabile scena in cui Andy, isolandosi per pochi preziosi momenti dal processo che lo vede protagonista, si muove sulla melodia de La mamma morta, dall’opera lirica Andrea Chénier di Umberto Giordano, interpretata dalla sublime voce di Maria Callas: una danza, la sua, che è un dolce sparire, un obliarsi, un rassegnarsi sereno alla morte che incombe, fidando di avere vissuto degnamente, non invano, divenendo un simbolo di speranza per tutti coloro che versavano nella stessa, dolentissima situazione.

Per il resto Philadelphia è un film piuttosto lineare, nel senso che, almeno nella seconda parte si assesta sui toni classici da legal movie, con tutto il dibattito che, inevitabilmente, prende corpo in un aula di giustizia che diviene il palcoscenico da cui portare a più persone possibili un messaggio di solidarietà ed emancipazione rispetto a un’ignoranza diffusa e a un certo atteggiamento sciocco e, soprattutto, assai razzista.

Il film di Jonathan Demme riscosse un enorme successo al momento della uscita perché per primo, a viso aperto, affrontava una questione scottante che ci si ostinava a non chiarire, come se la si temesse a tal punto da rinunciare addirittura all’ipotesi di parlarne, per dissipare una miriade di penosi equivoci. In questo senso, Philadelphia svolse un ruolo determinante di informazione, a dimostrazione di quanto il Cinema talvolta possa costituire uno strumento imprescindibile di testimonianza e di presa di coscienza. A distanza di venticinque anni, il film ha mantenuto intatta la sua forza ed è un po’ demoralizzante dover constatare che rispetto a certe questioni l’atteggiamento generale non sia radicalmente mutato come ci si sarebbe potuto legittimamente aspettare.

 

 

Luca Biscontini