Tekla ci racconta il suo singolo A volte capita

“A volte capita” è un brano che affonda le radici nella vita quotidiana, esplorando la delicatezza e la complessità delle relazioni umane. Tekla ci regala un’opera d’arte sonora che ci invita a riflettere sulla fugacità della bellezza e sull’unicità di ogni istante, dimostrando che, a volte, è proprio nell’effimero che troviamo la vera essenza della vita. 

Ciao Tekla, benvenuta. Cominciamo con il significato dietro il nuovo singolo “A volte capita”. Puoi raccontarci di più sulla sua ispirazione e sul messaggio che vuoi trasmettere?

A volte capita è nata alle Canarie ed è terminata a Bologna.

E’ stata ispirata da una frequentazione che ha portato con sè tantissimi episodi di riflessione.

Spesso quando iniziamo una relazione o semplicemente passiamo tempo con qualcuno in qualche modo idealizziamo e fantastichiamo sulla direzione da intraprendere.

A volte capita, come il titolo stesso invita, vuole fare riflettere su quanto casuale e spesso non finalizzato a ciò che speriamo o ci aspettiamo, siano gli incontri.

La canzone sembra raccontare di contraddizioni e complessità nelle relazioni, ma allo stesso tempo di una connessione speciale. Come hai trovato l’ispirazione per esplorare questo tema nella tua musica?

Esatto si parla di quanto le connessioni siano speciali a prescindere dalla destinazione che esse hanno. I rapporti spesso sono fatti di interessi reciproci che siano fisici o psicologici ed emotivi.

Siamo talmente tanto abituati ad ottimizzare ogni cosa che anche gli incontri sembra debbano darci ciò che necessitiamo.

Nel momento in cui questo non accade si prova rabbia, senso di urgenza e sofferenza ma tutto questo la mattina appena aprivo la finestra della camera sull’oceano, diveniva un problema completamente superficiale ed i pensieri iniziavano a pesare meno.

La riflessione comporta sicuramente consapevolezze crude ma l’autoanalisi ti permette di avere più lucidità, su cosa davvero pretendiamo dai rapporti e quale invece è il loro scopo reale.

La scelta di utilizzare un ukulele come guida musicale è interessante. Cosa ti ha spinto a scegliere questo strumento in particolare per esprimere la storia di “A volte capita”?

L’ukulele penso che nel comune immaginario sia uno strumento che trasmette leggerezza ma non banalità, persistente ma non ripetitivo. Nonostante il giro di accordi non sia complesso credo funga come filastrocca e non sia ridondante. L’ho preferito rispetto alla chitarra per esprimere quel concetto magico che le relazioni ti lasciano quando non iniziano e nemmeno finiscono.

“A volte capita” è stato un lavoro di sartoria, unificando diverse poesie scritte di getto. Come hai affrontato questo processo creativo nel combinare queste diverse prospettive in un unico racconto?

Diciamo che erano tutte scritte su quel focus tendenzialmente, quindi non è stato particolarmente difficile. Certo qualche modifica c’è stata per rendere tutto molto più omogeneo e comprensibile ma di base credo sia stato anche di grande aiuto la supervisione di Dennis Giusti, un giovane autore bolognese con cui ho lavorato per diversi brani e con cui ho trovato sempre un’ottima armonia per la cura dei testi.

Infine, cosa ti auguri che gli ascoltatori portino con sé dopo aver ascoltato “A volte capita”?

Mi auguro che le persone che ascoltino a volte capita, possano godere di un sorriso a ripensare alle vecchie frequentazioni a prescindere su come siano terminate o come si siano evolute. Come se comprendessero che è una parte del percorso entrare in contatto con gli altri e coglierne la continua poesia della sincronicità.

Grazie per questo spazio dedicatomi, un grosso saluto.

Tags: