Creature di Dio: debutto di coppia per l’eterna lotta tra il bene e il male

Ad un anno dalla presentazione al Festival di Cannes 2022, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, arriva al cinema Creature di Dio, diretto dalle registe americane Saela Davis e Anna Rose Holmer, al loro debutto cinematografico in coppia.

Un dramma cupo, dal sapore ancestrale, con una superba Emily Watson nel ruolo di una madre in bilico tra amore filiale e senso del dovere.

Ambientato in un villaggio di pescatori che sembra essersi fermato in un tempo antico e indefinito, il film, scritto dall’esordiente Shane Crowley, è stato girato nella Contea di Donegal, in Irlanda; qui gli abitanti vivono di pesca e di coltivazione di ostriche, ma la marea, che si alza e si abbassa repentinamente, è una spada di Damocle che grava su tutti. Porta sfortuna imparare a nuotare: solo così, infatti, i bambini, poi ragazzi e infine uomini, manterranno sempre la giusta distanza dall’acqua e la temeranno. Nella piccola comunità, dove tutti si conoscono, la vita si svolge tra l’azienda ittica del posto e il pub in cui ci si ritrova la sera. Le registe, supportate dal direttore della fotografia, Chayse Irvin, tratteggiano con estrema cura e dovizia di particolari le alte scogliere, le colline verdeggianti costellate di cottage, il mare quasi nero e perennemente increspato, la luna piena vista attraverso i rami di un albero spoglio, quasi fosse un dipinto di Caspar Friedrich.

I fermo immagine e la simmetria la fanno da padroni e incorniciano di volta in volta i personaggi e le loro espressioni, o i luoghi e il senso di minaccia che trasmettono. Poetico e, al tempo stesso, angosciante, Creature di Dio racconta il dramma di Aileen, la bravissima Watson, divisa tra l’amore per il figlio Brian, interpretato da Paul Mescal, rientrato improvvisamente in patria dopo un lungo periodo trascorso in Australia a cercare fortuna, e il senso di giustizia nei confronti del prossimo. Se da un lato viene rappresentato il suo conflitto interiore, dall’altro esso si incastona alla perfezione in un contesto dal sapore patriarcale, se non addirittura maschilista. Il villaggio non è un posto per giovani, non offre un futuro certo e lo offre ancora meno alle donne in età da marito: con questa consapevolezza devono fare i conti i protagonisti, in balia non solo delle maree ma anche di convinzioni estreme, radicate nel profondo degli animi.

La musica fa da sfondo a questi drammi, alternando i dolci canti malinconici di Sarah, la bravissima Aisling Franciosi, alle note stridenti dei violini e ai rulli minacciosi del tamburo. Il film si è aggiudicato ben cinque nomination ai recenti BAFTA: meritatissime perché, scavando nell’intimo dei personaggi e inserendoli meticolosamente in un contesto cupo e mentalmente chiuso, ne ha sviscerato la forza d’animo, la meschinità, il coraggio, la remissività. Con i rispettivi pregi e difetti, tutti gli abitanti del luogo svolgono una funzione corale e ben precisa ai fini della narrazione. Creature di Dio è duro da digerire perché rappresenta una lotta interiore e un dolore con cui non vorremmo mai avere a che fare. Ma sul finale, mentre la giovane Sarah sfreccia sulla costa, il sorriso che affiora pian piano sulle sue labbra è un vero e proprio inno alla speranza, il segno dell’inizio di una nuova vita.

 

 

Daria Castelfranchi