Riabbracciare Parigi: Alice Winocour e la tragedia del Bataclan

Ispirato ai drammatici fatti del Bataclan e agli attentati che nel 2015 scossero la Francia, Riabbracciare Parigi è un film diretto da Alice Vinocour.

Valso un premio César alla protagonista, Virginie Efira, il film, mediante la testimonianza del fratello della stessa regista – che si trovava nell’ormai tristemente celebre locale e riuscì a nascondersi – affronta una tematica assai dolorosa e complessa e lo fa con delicatezza e sincerità, con un tratto intimo, senza mai scadere nel compassionevole.

Mia è una interprete di russo, lingua imparata dalla mamma. Vive con il suo compagno e lavora in radio. La sua vita scorre tranquilla. Si gode la vista sui tetti di Parigi che offre il bel terrazzo del proprio appartamento e le fusa del suo amabile gatto. Fino ad una sera di Novembre in cui, all’interno del ristorante nel quale si trova, un gruppo di terroristi inizia a sparare sui clienti. Mia riesce a salvarsi, ma il trauma sconvolge la sua esistenza. Durante i primi mesi la donna cancella i ricordi di quella terribile serata e cerca di andare avanti con la sua vita, ma, a poco a poco, tormentata dai ricordi e da alcuni flash, tenta di ricostruire l’accaduto e si mette alla ricerca della persona con cui aveva condiviso i tragici attimi prima dell’arrivo della polizia. Parla proprio di questo Riabbracciare Parigi: del difficile percorso che deve affrontare chi ha subìto un trauma.

La memoria, infatti, distrugge e ricostruisce quello che è accaduto e, per ricomporre il puzzle e, di conseguenza, tornare a vivere, c’è bisogno di uno sforzo collettivo, perché farlo da soli è impossibile. Mia si reca dunque al ristorante dove trova altri sopravvissuti, più o meno feriti, più o meno tornati alla normalità. Tra essi c’è Thomas, interpretato da Benoît Magimel: tra i due si instaura fin da subito una certa sintonia. Condividono il dolore, i ricordi, il desiderio di voltare pagina. La macchina da presa li segue, si insinua nelle loro case, ne cattura gli sguardi tormentati, i gesti angosciati. Lentamente, ricordo dopo ricordo, seguiamo Mia nella sua missione, ci immedesimiamo in lei, nella sua spasmodica ricerca, nel suo disperato bisogno di normalità. Lei, che si sente un fenomeno da baraccone perché tutti le parlano in modo diverso, vuole solo tornare ad amare, a lasciarsi andare, vuole ritrovare la placida quotidianità. E i tetti di Parigi tornano di continuo, quasi a rasserenare la narrazione, così carica di angoscia.

In mezzo a tanta inquietudine e solitudine, Mia incontra una ragazza che ha perso i genitori nell’attentato e si lega molto a lei, riscoprendo ben presto l’importanza e il valore dell’amicizia. Proprio questo è il diamante del trauma: il riuscire a trovare qualcosa di bello in mezzo alla tempesta, al culmine della sofferenza. Ha un che di straziante, dunque, Riabbracciare Parigi, in quanto affronta una serie di argomenti anche spinosi, oltre che dolorosi. Una delle cameriere rimaste vive racconta infatti di aver visto in faccia l’attentatore: “Era come un angelo sorridente”. Chi sono questi ragazzi? Che tipo di lavaggio del cervello hanno subìto? Come possono essere belli e assassini allo stesso tempo? Con uno stile intimo, una musica drammatica e quasi malinconica che accompagna le immagini e un montaggio che coniuga alla perfezione presente e passato, Riabbracciare Parigi racconta una pagina dolorosa della storia degli ultimi anni. È toccante, autentico catartico. Un film doveroso.

 

 

Daria Castelfranchi