Wolf call – Minaccia in alto mare: la risposta francese al war movie sottomarino a stelle e strisce

Il filone bellico ha nutrito e continua a nutrire la Settima arte da decenni con pellicole che hanno portato sul grande schermo storie e personaggi incredibili, capaci di regalare alle platee un ventaglio di forti e molteplici emozioni. Pellicole, queste, che con più o meno efficacia hanno saputo raccontare odissee umane, imprese ed epopee militari realmente accadute o frutto dell’immaginazione dello sceneggiatore di turno, rievocando e gettando uno sguardo sull’orrore della guerra e sui tanti, sanguinosi e brutali effetti collaterali.

La guerra e gli innumerevoli conflitti che continuano a mietere vittime alle diverse latitudini, però, non hanno avuto solo la terra e il cielo come campi di battaglia. Quando le tecnologie e l’ingegno lo hanno consentito, infatti, l’uomo ha iniziato ad ammazzarsi a vicenda anche sotto la superficie marina, sino alle profondità oceaniche dove si sono consumati massacri invisibili. Dal canto suo, il cinema non si è tirato indietro e ha portato sul grande schermo una serie di film ambientati nei sottomarini, inscrivibili per comodità nella “famiglia allargata” del war movie, ma che nel corso del tempo sono diventati un genere a sé, nelle cui vene scorrono tratti e caratteristiche del cinema d’azione, drammatico e thriller.

La filmografia è ricca di tasselli, per cui non stiamo qui a rammentare questo o quell’altro titolo, ma una cosa è certa ed è lo strapotere che la produzione a stelle e strisce ha esercitato sul genere in questione sin dalle sue origini: dai classici Destination Tokyo, Mare caldo, Duello nell’Atlantico e Torpedo Run, ai più recenti kolossal come Allarme rosso, Caccia a Ottobre rosso, U-571, K-19, Hunter killer e Phantom. Purtroppo, la produzione del Vecchio Continente non ha saputo tenere testa alla potenza di fuoco dei dollari fumanti d’oltreoceano e ha contrattaccato come e quando poteva con una manciata di opere dal respiro internazionale, tra cui Black sea, U-Boot 96 e Kursk. Ora il cinema europeo ci riprova e lo fa con una coraggiosa e imponente produzione made in France, guidata dal regista Antonin Baudry che, per l’occasione, ha chiamato a raccolta una nutrita schiera di noti attori del panorama transalpino (tra cui François Civil, Omar Sy, Mathieu Kassovitz e Reda Kateb), per sferrare una convincete risposta alla cinematografia nordamericana e ai film appartenenti al suddetto filone.

Il risultato è Wolf call – Minaccia in alto mare, che in maniera del tutto inaspettata riesce a reggere il confronto e persino a surclassare alcune recenti film di sottomarini battenti bandiera statunitense come il già citato Hunter killer. Baudry strizza l’occhio ai grandi classici del genere e, al contempo, non perde di credibilità mescolando il realismo delle ambientazioni (le riprese sono state effettuate in veri sommergibilidella marina franceseancora in servizio) con una CGI non eccelsa, ma comunque di buona fattura. La stucchevole retorica patriottica e militare fa capolino solo in alcuni passaggi (principalmente quando dallo scontro tra i sottomarini si passa alle reazioni sulla terra ferma), perché è la scrittura documentata e attenta ai particolari a tenerla a bada spostando l’attenzione dello spettatore e il baricentro drammaturgico sulle dinamiche interne tra i personaggi, sul palleggio sostenuto e ben ritmato tra i due sottomarini alleati coinvolti ma tagliati fuori dalla mancanza di comunicazione, oltre che sull’esplorazione di un soggetto poco noto: quello della dissuasione nucleare e dei suoi complessi meccanismi controintuivi. Quest’ultimo è l’aspetto più interessante e per certi versi inedito nel genere da cogliere e conservare a futura memoria del film. La tensione latente e le sue improvvise detonazioni sullo schermo fanno il resto, dando vita ad una seconda ora al cardiopalma che offre allo spettatore una fruizione in apnea in assetto variabile nel vero senso della parola.

 

 

Francesco Del Grosso