Francesco Lattanzi: la bellezza non ha bisogno di maschere

È l’unica cosa certa: la vera bellezza non ha bisogno di maschere. “Alla morte” – titolo duro nella forma ma tutt’altro che cattivo nelle intenzioni, è il ritorno in scena di Francesco Lattanzi. Un suono e un lavoro pulito, semplice e dalla buccia forte e potente. Parliamo di bellezza con un artista che certamente ha scelto la via della sintesi e delle origini in luogo di trasgressioni che troppo spesso significano alter ego e maschere. Un disco a pastello… e l’omaggio a Don Mc Lean è un poesia anche dentro la clip ufficiale.

La bellezza. Partiamo sempre da qui cercando di andare ben oltre tutto. Per Francesco Lattanzi cos’è per davvero la bellezza?
Ed infatti è proprio da questa prospettiva che parto per scrivere. E’ al tempo stesso un punto di partenza e un punto di arrivo. Quando scrivo ho sempre in mente, ed oramai costituisce una specie di deformazione professionale, una forma di scrittura che è vicina alla forma della poesia classica. Me lo sono imposto sin dall’inizio, primo perché è su quella che mi sono formato culturalmente, secondo perché quel tipo di composizione letteraria, nella musica contemporanea non esiste praticamente più. Le canzoni di oggi , sotto il profilo formale , sono illeggibili. Altro discorso dobbiamo farlo sui contenuti. Quelli, ce li hai, o non ce li hai. Lungi da me la pretesa di dire cose “intelligenti” rispetto al resto del cantautorato moderno. Sui contenuti è sempre la storia che deve giudicare. Però volendo fare un discorso più generale, approfitto della domanda per fare una considerazione che sempre meno persone fanno. Oggi di bellezza , nella musica ce n’è veramente poca. Tutti gli addetti ai lavori, coinvolti direttamente o indirettamente nell’industria musicale, a questa domanda, risponderanno che non è vero che la musica di oggi è scadente, è solo diversa da come era ieri. Bugia gigantesca. D’altronde se chiedi all’oste com’è il vino che ci vende, che tipo di risposta ti aspetti ? Attraversiamo purtroppo un periodo in cui nell’arte, e nella musica in modo particolare, avanzano i mediocri, avanzano gli “artisti costruiti a tavolino”, strani personaggi che vestono o si conciano in modo strano, oppure fanno cose strane sul palco, e per questo motivo, fanno tendenza. Ma artisti, che di veramente artistico hanno poco o nulla. Impossibile pretendere da loro , o dai loro manager che tirino fuori cose belle, anzi più è scadente il loro prodotto, più sarà apprezzato in una società vittima di una spaventosa barbarie culturale. Ecco, per rispondere alla domanda, il perché sono sempre alla ricerca della bellezza nelle mie canzoni. Il risultato di riuscirvi o meno, spetta, come ripeto a chi ascolta.

Che poi non sempre questa corre di pari passo al contenuto. E per un cantautore sono compressi a volte faticosi. Tu come ti poni di fronte queste scelte?
È quello che dicevamo poc’anzi. Tento di coniugare le due cose. E non ho né la pretesa, né il desiderio di piacere per forza a chi mi ascolta. Non è un compromesso a cui posso scendere. Significherebbe snaturare tutto il lavoro che faccio e snaturare me stesso. È un discorso che riguarda tutti gli artisti. Ad un certo punto, lungo il percorso per il successo sei di fronte ad un bivio , una strada è ampia, senza curve, più breve e senza traffico, l’altra impervia e piena di ostacoli. Quale sceglierebbe il 99 per cento degli artisti ? Ecco io ho scelto l’altra. E ad oggi non ho rimorsi. Né credo che mai ne avrò.

Parlando di “morte”: che rapporto hai con questa soluzione finale della vita? Ma in fondo: una soluzione o un ponte di congiunzione?
La morte, ovvero le morti narrate nel disco sono solo la patina. Dietro c’è una morte più nascosta che spaventa molto di più , ed è la morte dei valori, così come me li hanno insegnati dall’infanzia. A questo tipo di morte assistiamo in modo pressoché irreversibile ormai da qualche lustro. I brani di questo album narrano il decadimento morale di questi anni.

E che bella questa copertina e questi colori pastellati: tutto tranne la morte o sbaglio?
È proprio così. La copertina è opera di Ilaria Benedetti, una mia cara amica, mia concittadina; siamo stati a scuola insieme e siamo nati lo stesso giorno. Spulciando in un suo social network, ho visto questa immagine e non ci ho pensato due volte a scriverle. C’ è appunto una specie di dicotomia in questo suo disegno, la vivacità dei colori si contrappone all’immagine generale che rappresenta un mappamondo a forma di gelato che si sta sciogliendo. Per me in questa immagine c’è tutto il senso del disco. L’ipogeo etico verso cui camminiamo, ma anche una specie di catarsi a cui dobbiamo aspirare. Non ho mai pensato di metterla tutta sul catastrofico, anche perché, caratterialmente non sono così.

Chi è il vero protagonista di questo disco? L’uomo o il suo ego?
Entrambi, e anche tutto quello che c’è in mezzo. In tanti mi hanno fatto notare che questo è un disco molto politico. Ma non è così. Non nel senso più classico del termine. E’ invece un’opera che parla appunto dell’uomo tra gli altri uomini. Il mio intento era quello di analizzare come e perché i rapporti umani, all’interno della società occidentale contemporanea si stanno deteriorando. Mi interessavano i rapporti sociali, non la politica. Anche se poi ci sono canzoni, più squisitamente politiche nel disco (Strage per sempre, La sabbia e l’imbroglio). Ma ho voluto, per prima cosa, soffermarmi sui danni che l’ego (come dici tu) genera sull’individuo, e in secondo luogo, magari, in modo molto velato, suggerire una via d’uscita.