Il prigioniero coreano: in home video la banalità del male secondo Kim Ki-duk

Dopo essere passato quasi in sordina alla Settantatreesima Mostra internazionale d’arte Cinematografica di Venezia – all’interno della sezione Giornate degli Autori – Il prigioniero coreano, penultima fatica dell’ormai celebre cineasta Kim Ki-duk, ha ottenuto numerosi consensi da parte sia di pubblico che di critica, in seguito alla sua uscita in sala.

Per chi se lo fosse perso, il lungometraggio è ora disponibile in dvd grazie a CG Entertainment (www.cgentertainment.it), che lo lancia in collaborazione con la Tucker Film.

Abbandonata la curatissima estetica dei suoi primi film (come i bellissimi Primavera, Estate, Autunno, Inverno…e ancora Primavera, del 2003, e L’arco), così come il taglio più tendenzialmente gangsteristico di Indirizzo sconosciuto (2001) o Pietà (Leone d’Oro nel 2012), già da diversi anni il regista sudcoreano ha prediletto storie dalle sceneggiature di ferro atte a colpire lo spettatore nel proprio intimo e – perché no? – anche a denunciare la terribile dittatura che da anni affligge la Corea del Nord.

A tal proposito, esclusivamente su tale tema è incentrato proprio Il prigioniero coreano, intenso lungometraggio che, tuttavia, oltre a mettere in scena la suddetta dittatura, punta a sparare a zero, più in generale, sulla guerra in sé e su ciò che spinge gli esseri umani a schierarsi uno contro l’altro. Tirando in causa anche l’altra fazione – ossia la stessa Corea del Sud – e inscenando una situazione talmente paradossale da diventare quasi surreale, ma che, in realtà, potrebbe tranquillamente verificarsi nella vita di tutti i giorni.

La storia raccontata è, dunque, quella di un povero pescatore nordcoreano (impersonato da Ryoo Seung-Bum), il quale, pur di mantenere la famiglia, si alza di buon’ora ogni mattina. Un giorno, però, la sua rete da pesca si impiglia nel motore della barca, facendolo finire inevitabilmente nella zona appartenente alla Corea del Sud. Sospettato di essere un attentatore e interrogato dalle autorità, l’uomo si ritrova in una situazione paradossale, in cui sembra non esservi alcuna via d’uscita, né alcuna possibilità di tornare al suo paese.

Claustrofobico, magnetico, dagli echi addirittura polanskiani e con un costante crescendo di tensione, questo lavoro di Kim Ki-duk ricorda molto, dal punto di vista della sceneggiatura, il nostro Una pura formalità (diretto nel 1994 da Giuseppe Tornatore) e, dopo un periodo – qualitativamente parlando – assai poco convincente, sembra voler sancire un auspicato ritorno alla ribalta di un regista che, da ormai diversi anni a questa parte, ha avuto modo di farsi conoscere e amare – grazie alla sua filmografia tanto ricca quanto variegata – dal pubblico di tutto il mondo.

Galleria fotografica e trailer nella sezione extra, mentre l’edizione blu-ray include anche gli artwork internazionali e un’introduzione di Kim Ki-duk.

 

 

Marina Pavido