Home education – Le regole del male: chi è sepolto in quella casa?

Curiosamente, è l’Alex Proyas regista de Il corvo e Io, robot a figurare in qualità di produttore esecutivo di Home education – Le regole del male, primo lungometraggio diretto dall’italiano Andrea Niada.

Lungometraggio che prende le mosse proprio da un suo short al fine di trasportarci nella casa immersa tra i boschi in cui l’adolescente Rachel alias Lydia Page vive insieme all’oppressiva madre Carol, interpretata da Julia Ormond, la quale la ha istruita secondo i principi di un culto esoterico di cui è seguace.

E a rendere ancor più inquietante la situazione provvede il fatto che la donna costringe la figlia a vivere evitando contatti con il mondo esterno, mentre entrambi vegliano quotidianamente il corpo esanime del marito, convincendola che prima o poi tornerà in vita.

Una storia di cadaveri segretamente tenuti in casa, dunque, in maniera analoga a quanto avvenne nel 1979, in un certo senso, nello splatter cult Buio omega dell’Aristide Massaccesi meglio conosciuto come Joe D’Amato.

Con la differenza che, pur non mancando di mostrare disgustose e a loro modo inquietanti immagini di animali morti, Home education – Le regole del male è un horror psicologico che non punta affatto sulle efferatezze mirate a mettere a dura prova lo stomaco dello spettatore.

Mentre il Rocco Fasano di Non mi uccidere viene calato nei panni del giovane Dan che, stringendo amicizia con Rachel, non può che rappresentare una minaccia agli occhi di Carol, il tutto si evolve infatti attraverso una lenta narrazione destinata a far salire in maniera progressiva la curiosità nei confronti del delirio mentale che caratterizza le due protagoniste.

Una curiosità dovuta anche al desiderio di sapere al più presto cosa si nasconda dietro alla loro assurda scelta di vivere nell’isolamento totale dal resto dell’umanità, oltretutto circondate da mosche che contribuiscono ad enfatizzare ancor di più lo squallore generale.

Fino al momento in cui Home education – Le regole del male non dimentica di sfociare nella violenza, rivelandosi una co-produzione tra Italia e Regno Unito non eccelsa, ma che, affrontata da attori in parte e decisamente curata nella confezione, si lascia tranquillamente seguire senza annoiare nonostante il ritmo generale tutt’altro che incalzante.

 

 

Francesco Lomuscio