JELO: la bellezza significa anche provocazione sociale

La bellezza è certamente un concetto ampio e ci piace e ci stimola tantissimo trovare pensieri così profondi dentro le righe di una giovane penna della nuova scena indie italiana. Lui è Jelo, cantautore genovese che sceglie il mondo digitale, il suono urbano, quel certo equilibrio stilistico tra rap e R’n’B… ma anche tanto pop e classicismo che in fondo è solo un vettore per liriche che alla società hanno da riversare un dissenso e una critica. Intelligente… come l’ultimo singolo che esce fuori un po’ da questo Ep d’esordio dal titolo “Sintesi”: e stiamo parlando di “Ius Soli”, brano che si impreziosisce della copertina firmata da Vauro Senesi. E detto questo, penso sia detto tutto…

Noi iniziamo sempre parlando di bellezza. Per Jelo la bellezza che peso ha?
La bellezza è un concetto molto ampio, di sicuro è parte integrante della vita di tutti ma quanto incide su ognuno di noi nello specifico è un grande insieme di fattori, individuali e non. Mi ritengo una persona fortunata, che ha avuto sempre a disposizione una buona dose di bellezza e a volte l’ha anche sprecata: penso che crescendo aumenti sempre di più il peso della bellezza su una persona e sulla sua salute, o almeno è stato così per me. Negli ultimi mesi, ogni giorno che è passato ho cercato sempre più di vivere cose belle, ma soprattutto di incontrare persone belle. Quasi come una dipendenza, la bellezza diventa fondamentale per stare bene, quindi attenzione a non diventare troppo esigenti con la vita, che resta tale e quindi anche pesante e difficile per definizione. Ogni sfumatura emotiva ha un grande peso per me, e la bellezza non è solo una sfumatura: è un insieme di stimoli che suscitano altrettante emozioni (spesso positive); quindi è e sarà una delle condizioni necessarie al mio benessere.

Dove e come trovarla? Ma soprattutto: come sai d’averla raggiunta?
Se intendiamo la bellezza come “artistica e musicale”, il posto migliore dove trovarla è: la cultura artistica e musicale. Il modo quindi è studiare e conoscere. Uno dei metodi usati generalmente da una persona per giudicare “bello o brutto” un oggetto artistico è infatti confrontarlo con un altro: conoscere molti oggetti artistici ti da più strumenti per formare una tua opinione. Potrei fare molti altri esempi di come essere ricchi di conoscenza doni ricchezza alle creazioni o ai pensieri. Purtroppo io non posso definirmi colto, ma almeno posso definirmi consapevole di non esserlo. Infatti per quanto riguarda la mia musica e la mia artisticità, non credo di aver raggiunto la bellezza che desidero, anzi.
Se parliamo invece di bellezza in generale, ci sarebbe da fare un discorso molto lungo. In sintesi penso che la bellezza non sia tanto qualcosa da cercare e trovare fuori, quanto un modo di vivere sé stessi, gli altri e il mondo che ciascuno può trovare dentro di sè.

Parlando di estetica direi che questa immagine di copertina è molto importante e assai evocativa. Queste immagini sullo sfondo dai bordi distorti e rovinati. Una sorta di passato da ricostruire o da dimenticare?
Wow! Che suggestione, a dire il vero la copertina vuole essere una “sintesi” del progetto, correlando un’immagine a una specifica canzone. Infatti si possono notare le copertine dei due singoli che erano già usciti, “per cosa tremi?” e “ti va di farmi felice”. L’idea è quella di ricostruire un muro tappezzato di manifesti, alcuni strappati, altri sovrapposti. L’atmosfera negativa che avete colto, forse rappresenta un po’ di delusione rispetto alla sintesi che ho dovuto fare della realtà che vivo: ogni canzone infatti rappresenta un aspetto di quella realtà, che mi coinvolge, e che spesso ha una buona componente di sofferenza. Da ricostruire e da dimenticare penso si possa trovare sempre qualcosa, io invece con la musica sto cercando di partire da zero: non avere un passato di cui occuparmi e costruire qualcosa di completamente nuovo.

Con questo nuovo singolo “Ius Soli” si torna a dare al cantautore una ragione sociale. E la vignetta di Vauro Senesi sembra davvero una provocazione sfacciata… da dove nasce?
Mi piacerebbe potermi già definire “cantautore con ragione sociale”, ma mi sembra un pò precoce: sono un ragazzo giovane, all’inizio del suo percorso artistico, con dei sogni. Uno di questi è un mondo pacifico. Non voglio provocare nessuno, ho semplicemente voluto trasmettere un’idea, un’idea che condivido. Vauro ci ha concesso di utilizzare la sua vignetta, molto esplicita, perchè rappresenta la canzone molto bene. Ascoltando il singolo però ci si può accorgere di quanto non sia per niente una provocazione, ma piuttosto un’atto di coscienza; ho passato un lungo periodo a soffrire per la situazione globale (clima, guerre, diritti umani, carestie, siccità, pandemia) ed è cambiato qualcosa. Si è creata in me quella “ragione sociale”, che io definirei più ragione etica, la quale mi ha portato a comunicare ciò che sento rispetto a tutto ciò; e l’ho fatto con questa canzone. Avevo sinceramente paura che sarebbe stata vissuta come provocatoria, e così è stato. Spesso sentirsi chiamati in causa è vissuto come una provocazione: io ho solo voluto fare un appello all’etica e alla coscienza della gente, me compreso.

E se ti chiedessi della provincia, anzi della periferia? Eppure Genova non è un posto ai margini ma questo disco sembra esserlo…
Dipende anche da che cosa si intende per “ai margini”, non credo di aver mai nominato la provincia o la periferia nel mio disco, anzi una delle prime frasi della Intro è proprio “in centro città c’è un silenzio assordante”. Sicuramente i suoni e alcune sensazioni che questo progetto può trasmettere sono in linea con la consuetudine di questo genere: e quindi bisogno di rivalsa, delusione. Non ho mai appartenuto ad una dimensione sociale relativa alla periferia o a quelle porzioni di società marginate; proprio perché Genova di per sé non è un posto marginale e io non vengo dal nulla. Infatti penso di essere meno arrabbiato rispetto magari ad altri artisti. I margini a cui fa riferimento questo disco sono i margini dell’umanità, dell’essere umani, dell’etica: a parer mio già abbondantemente superati.