L’ultimo mercenario: giù le mani dal figlio di Van Damme

Disponibile su Netflix, è in Mongolia che apre L’ultimo mercenario, per poi spostarsi nella Parigi di ventiquattro ore prima.

Una Mongolia dove troviamo immediatamente l’icona degli action movie Jean-Claude Van Damme alle prese sia con la spaccata che l’ha reso mitico, sia con botte da orbi da distribuire agli avversari di turno.

Perché il protagonista di Kickboxer – Il nuovo guerriero e Senza tregua veste in questo caso i panni di un ex agente segreto che, come il titolo suggerisce, si è riciclato mercenario; fino al momento in cui il figlio col quale non ha contatti da anni, incarnato da Samir Decazza, viene accusato di traffico di armi e stupefacenti.

Da qui, mentre c’è di mezzo anche un’arma progettata per bloccare tutti i sistemi elettronici (un elemento che sembra quasi riecheggiare Fuga da Los Angeles di John Carpenter), ciò che prende il via è quindi una frenetica corsa con mafiosi e governo perennemente alle costole. Corsa durante cui seguiamo, ovviamente, anche il rapporto tra padre e figlio, affiancati da un ristretto manipolo di personaggi in un’avventura che, tra un inseguimento automobilistico sulle note di One way or another dei Blondie e una sequenza in monopattino, non si prende mai troppo sul serio.

Del resto, al timone di regia David Charhon – autore di Due agenti molto speciali – intende chiaramente concretizzare attraverso L’ultimo mercenario una commedia d’azione, sfruttando in particolar modo un Van Damme che, consapevole del fatto che non sia più il giovane agile e muscoloso degli anni Novanta, come già fatto altrove gioca in maniera intelligente di autoironia.

Con tanto di poster del Senza esclusione di colpi! di cui fu interprete che appare affisso ad una parete nel corso di una delle situazioni maggiormente movimentate del film; mentre, cimentandosi anche in esilaranti travestimenti, ci dimostra ancora una volta che non è il semplice inespressivo belga che per molto tempo ci ha voluto far credere la più banale fetta della critica cinematografica.

Certo, lo spettacolo viene tirato un po’ troppo per le lunghe (siamo oltre l’ora e cinquanta), ma, in mezzo a divertiti omaggi allo Scarface di Brian De Palma e qualche scazzottata non troppo memorabile, L’ultimo mercenario garantisce un non esaltante ma piacevole intrattenimento distante dai modesti straight to video della più tarda filmografia vandammiana e condito, oltretutto, di un paio di colpi di scena conclusivi… fino ad ultime sorprese poste nei titoli di coda.

 

 

Francesco Lomuscio