Solo no: quando l’arte è sinonimo di vita

Un teatro in decadenza è lo spazio intimo e interiore dell’arte, specchio della società odierna per la regista Lucilla Mininno in Solo no.

Cecilia è un’attrice anziana che vive da anni rinchiusa in un piccolo teatro che deve essere demolito per far posto ad un supermercato. In seguito ad un brutto incidente, il teatro e la sua protagonista non riescono più a vivere. Ad aiutare Cecilia c’è un giovane attore, che ogni giorno l’accudisce e la sostiene anche nella sua ultima messa in scena.

Come dichiara Cecilia stessa: “Se questo teatro crollerà, non avrò fallito solo io. Avrà fallito, per l’ennesima volta, il più vero, il più intimo e universale progresso di tutti noi.

Infatti, attraverso il lamento disperato di Cecilia la regista denuncia una società ormai in decadenza culturale e artistica.

Solo no è un film che parla di amore verso l’arte, ma anche del bisogno di ogni essere umano di bellezza e di cultura, l’unico mezzo per comprendere e per progredire.

Come ha dichiarato la stessa regista Mininno: “Un mondo senza arte, bellezza e cultura è un mondo che non consegnerà nulla di sé”.

Il film gioca tutto sul contrasto tra buio e luce: i meandri dell’animo sono oscuri, la luce della realtà diventa accecante.

Il ritmo è lento e la sceneggiatura presenta alcune lacune. Ottima è l’interpretazione della protagonista Anna Teresa Rossini, che con maestria riesce a reggere l’intera struttura narrativa.

La sceneggiatura risulta essere ricca di rimandi a note opere teatrali, prima di tutti Il giardino dei ciliegi di di Anton Čechov.

Solo no è un viaggio intimo e profondo, drammaticamente reale. Infatti, sono molti i teatri in Italia che chiudono o che versano in gravi crisi economiche. Il teatro, in particolare quello di prosa, ha sempre raccontato la quotidianità storica e sociale di un popolo, e la sua morte significa l’annientamento culturale dell’identità nazionale.

 

 

Anastasia Mazzia