Un’altra vita – Mug: il vero volto della Polonia

In Un’altra vita – Mug Jacek ama l’heavy metal, la sua fidanzata e il suo cane. La sua famiglia e i parrocchiani del suo paesino lo trovano un tipo bizzarro e divertente. Jacek lavora presso il cantiere edile di quella che dovrebbe diventare la statua di Cristo più alta del mondo. Dopo che un grave incidente lo sfigura completamente, tutti gli occhi vengono puntati su di lui, mentre si sottopone al primo trapianto facciale del paese.

Questa è la breve sinossi del film diretto  da Małgorzata Szumowska e sceneggiato dalla stessa regista insieme al direttore della fotografia Michał Englert.

La storia potrebbe inizialmente ricordare film o simili legati al fatto di perdere la propria identità a causa di un volto sfigurato e poi ricostruito. In realtà, si tratta solo di un espediente narrativo che viene posto anche in chiave ironica e di commedia per la regista, al fine di raccontare il vero volto della Polonia, quella profondamente cattolica, che è decisamente ostile a qualsiasi “infiltrazione straniera”.

Il frutto della seconda guerra mondiale e del comunismo,ci ha regalato una cinematografia dinamica e critica nei confronti di una società decisamente chiusa, come i suoi governanti. Malgorzata sintetizza tutto in una sceneggiatura perfetta e divertente, con tanto di barzelletta raccontata a Natale dalla famiglia riunita “Un ebreo, un musulmano e un nero saltano da un grattacielo. Chi vince?  La società !.

Un’ironia che va ad unirsi alla splendida interpretazione di Mateusz Kościukiewicz nel ruolo di Jacek e alla bellissima Małgorzata Gorol nei panni della promessa sposa Dagmara. Due protagonisti che, in breve, ci portano dentro una storia per raccontare la quale riportiamo le parole della stessa regista:“Un’altra vita – Mugè ambientato in una zona della Polonia meridionale, bella e incontaminata. Ciò che mi interessa più di ogni altra cosa, però, è quest’uomo che sta affrontando una sorta di dilemma, qualcosa di misterioso; un uomo che è circondato da una natura selvaggia e, in qualche modo, vive tra gente selvaggia. La realtà della campagna è bella e crudele allo stesso tempo, la gente può essere cattiva. Qui tutto è più semplice, le regole di vita più chiare, più primitive. La vita mondana si basa sui rapporti e la convivenza con la natura. Non si può semplicemente tagliare i ponti con le proprie radici, torneranno sempre. Mi piace descrivere questo tipo di Polonia, che però è proprio la realtà da cui Jacek cerca di scappare, nonostante la sua bellezza selvaggia.”

In realtà, il discorso si può facilmente estendere a gran parte della società polacca, non ridurlo solo a quella della campagne, a cui, poi, fa da sfondo la vera storia della statua del Cristo più alta del mondo, cui la regista associa una parte del plot di fantasia con una forte critica nei confronti della chiesa cattolica polacca. E, ricorrendo sempre alle parole: “Faccio film su ciò che mi disturba della Polonia. E ciò che mi irrita è una fede cattolica profondamente radicata e poco attenta all’altro, l’ipocrisia, l’aggressività, la mancanza di tolleranza e il fatto di girarsi dall’altra parte di fronte al diverso, al nuovo. Questi elementi erano presenti in tutti i miei film, però Un’altra vita – Mug è quello che li approfondisce di più. È capitato, semplicemente. Per me non è pensabile affrontare certi argomenti in punta di piedi, con umiltà o abbozzando una qualche tesi iniziale. So che certe cose non le posso combattere, ma posso  prendermene gioco. Ho l’impressione che ne trarremmo tutti dei benefici, se, in Polonia, ridessimo di più e discutessimo di meno. È questo che intendo dire nel film: nonostante le avversità del fato e il comportamento dei famigliari, Jacek non si perde d’animo. Ciò che sta succedendo in Polonia mi preoccupa, mi addolora, mi riempie di ansia, ma se ne parlassi in questo modo nessuno vorrebbe ascoltarmi. Così ho scelto il black humour”.

Un’altra vita – Mug, dove “Mug” sta in polacco a significare “brutto volto”, è decisamente, al contrario, un bellissimo film, pieno di humour nero, come precisato dalla regista stessa,  che ci mostra il volto di una Polonia felice di stare in Europa, senza stranieri e senza euro, con una economia in forte crescita da cui traggono beneficio solo i suoi cittadini, producendo anche un forte inquinamento a causa dell’uso indiscriminato di centrali a carbone. Poi, se vi ricorda l’America di un certo Trump è solo una coincidenza.

 

 

Roberto Leofrigio