Black Christmas: il secondo Natale rosso sangue rifatto

A rispolverare Black Christmas – Un Natale rosso sangue, capolavoro della suspense diretto nel 1974 dal compianto Bob Clark e che pose le basi per il filone slasher – caratterizzato da trame incentrate su fantasiose uccisioni ai danni di un gruppo di persone in uno spazio più o meno chiuso – esploso in seguito grazie ai vari Halloween e Venerdì 13, provvide già nel 2006 Glen Morgan, creatore della saga Final destination e regista del rat movie Willard il paranoico.

A tredici anni di distanza da quel guardabile remake che, abbondantemente infarcito di splatter e violenza, risultò però privo della tanto avvolgente quanto inquietante atmosfera di mistero che caratterizzò il geniale capostipite, ha provveduto a mettere in piedi un nuovo Black Christmas la Sophia Takal il cui curriculum vanta molte più esperienze davanti che dietro la macchina da presa.

Una seconda rilettura che, in realtà, si distacca molto dal plot riguardante la combriccola di studentesse minacciate telefonicamente ed eliminate una dopo l’altra in pieno periodo natalizio da un ignoto squartatore, sebbene il succo della questione rimanga bene o male invariato.

Infatti, in seguito all’immancabile e piuttosto convenzionale omicidio di apertura, facciamo sì conoscenza con la manciata di figure femminili – tra cui la Imogen Poots di Fright night – Il vampiro della porta accanto – ancora alle prese con lo studio, ma stavolta all’interno di un college, tra confraternite e party per festeggiare la fine del semestre.

Tanto che, complice il look dell’omicida qui fornito di lungo mantello e cappuccio, più che il classico clarkiano torna vagamente alla memoria il poco conosciuto Beverly Hills – Delitti al college di Bob Bralver; man mano che a destare un minimo d’interesse nell’appassionato del genere è la presenza del Cary Elwes di Saw – L’enigmista nei panni di un professore.

Ma, a cominciare dal fatto che il tutto appaia decisamente fiacco e noioso dal punto di vista narrativo, non pochi sono i motivi che spingono a storcere il naso dinanzi alla visione di questo Black Christmas 2019.

Perché, se da un lato l’indispensabile dose di sangue risulta grande assente a fronte di un campionario di eliminazioni che, tra strangolamenti e uso di arco e frecce, si consumano sempre fuori campo e rafforzate unicamente dal consueto e ormai stanco ricorso all’effetto jump scare, dall’altro a dare il colpo di grazia alla oltre ora e mezza contribuisce la malsana idea di trasformare l’insieme nell’ennesima rappresentazione in salsa horror del tanto chiacchierato girl power.

Per non parlare della prevedibilissima rivelazione finale, che arriva perfino a raggiungere le tutt’altro che invidiabili vette dell’apoteosi del politicamente corretto, complice la chiara aggiunta di accennato sottotesto antirazzista.

Ciliegina sulla torta di un Black Christmas che, intento a denunciare il mito (palesemente falso) che gli uomini abbiano il potere su tutto a danno delle donne, ci lascia tranquillamente pensare che quelli sbagliati lo stiano possedendo nella Settima di paura made in USA.

È sufficiente considerare che la Blumhouse qui produttrice aveva già sfruttato il reboot 2018 della citata serie Halloween per farne un indigeribile manifesto del movimento femminista Me Too.

 

 

Francesco Lomuscio