Home sweet home alone – Mamma, ho perso l’aereo: c’era una volta Macaulay Culkin

Sulla piattaforma Disney + è disponibile Home sweet home alone – Mamma, ho perso l’aereo, reboot del quasi omonimo lungometraggio di Chris Columbus del 1990 scritto e ideato da John Hughes, nonché capostipite di un franchise giunto al quinto episodio.

Con un approccio istintivo verrebbe facile appellarsi a una parola che da sola vale più di una domanda, diventando un vero e proprio quesito esistenziale: perché? Era necessario un lavoro del genere?

Home sweet home alone – Mamma, ho perso l’aereo di Dan Mazer si affida ad una trama chiara e lineare. I coniugi McKenzie, alle prese con la crisi economica e in procinto di vendere la casa per l’impossibilità di mantenerla, scoprono che un loro vecchio bambolotto ha un valore di mercato che supera i duecentomila dollari. Potrebbe essere la soluzione a tutti i loro problemi, non fosse che… il bambolotto è finito per caso nelle mani del piccolo Max Mercer, bambino che abita non molto distante da lì. Il bambino, dal canto suo, si ritrova da solo nella sua abitazione perché i genitori sono partiti per Tokyo per le vacanze di Natale e si sono ingenuamente dimenticati il figlio a casa! Questa situazione dà solo che forza ai McKenzie, decisi più che mai a riappropriarsi del prezioso giocattolo. E Max dovrà cavarsela da solo, vista anche l’incompetenza del poliziotto locale, un tale di nome Buzz McCallister. Sì, proprio lui, il fratello bulletto di Kevin, anche qui interpretato da Devin Ratray. Questo elemento potrebbe fuorviare, incentivando una flebile speranza che trasformi il film in una sorta di sequel dell’originale. Ma la sensazione dura veramente pochi istanti e si torna ad assistere ad un classico remake a tutti gli effetti. I riferimenti al lavoro di Chris Columbus sono disseminati lungo tutti i novanta minuti e sono molteplici: dalle dinamiche di trama alle inquadrature, dai trabocchetti e le trappole del bambino, fino alle musiche.

L’anomalia insita nel film di Mazer è la sensazione che si resti costantemente in bilico tra omaggio e (involontaria?) parodia dell’originale, tanto risultano assurde e grottesche certe sequenze (da segnalare una rivisitazione futuristica e fantascientifica del gangster movie che era solito vedere Kevin nei primi due film della serie). Inoltre, a un orecchio attento non saranno passate inosservate delle battute che sottolineano presunte leggerezze di trama dei precedenti Mamma, ho perso l’aereo. La novità fondamentale rispetto all’originale è chiara da subito: i cattivi non ci sono. I coniugi McKenzie lo diventano provvisoriamente, “a fin di bene”. Una messa in scena slapstick comedy per rispondere alla domanda: fin dove ti spingeresti per salvare la tua famiglia? Forse questa era l’unica via possibile per dare nuova vita ai (finti) antagonisti. Anche perché immaginare un qualsiasi tipo di paragone tra i ladri originali (le icone Joe Pesci e Daniel Stern) e i (non) ladri di questa versione (comunque bravi Rob Delaney e Ellie Kemper) sarebbe scorretto e decisamente fuori luogo. L’inserimento nella coppia “criminale” di una figura femminile, madre di famiglia, ha quel profumo di girl power (seppur al contrario) che tanto si respira nelle sale cinematografiche contemporanee, elemento che aiuta il film ad allontanarsi leggermente dal suo inevitabile anacronismo, ovvio anche solo per obblighi di trama.

Altro elemento che spezza col passato è la mancanza di una leadership vera e propria. Il film di Mazer la distribuisce su tutti i presenti, discostandosi dal quasi one man show (anzi, “one boy show”) del 1990, dove gran parte dell’intera posta in gioco era già miracolosamente tenuta in piedi dal solo Macaulay Culkin, prodigio precoce e carismatico. In questa versione, il “bambino derubato” è Archie Yates (già apprezzato in Jojo Rabbit), che per estetica ed empatia sembra essere quasi un’antitesi di Culkin. Yates trasmette meno malizia e più tenerezza, nonostante l’occhio furbo si affacci spesso dietro le lenti dei suoi occhiali. Se l’intento era quello di dare una rinfrescata ad una storia tipicamente anni Novanta e farla assaporare in chiave attuale ad un pubblico infantile abituato a nuovi contesti sociali, ludici e così via, allora il senso dell’intero progetto può anche essere corretto. Home sweet home alone – Mamma, ho perso l’aereo, in definitiva, risulta fin troppo semplice, esile, ma, allo stesso tempo, piuttosto adeguato ai nostri giorni e giusto per le caratteristiche che un film di questo genere richiede. Ma se l’ombra che si porta dietro è immensa quanto il gioiello originale di Chris Columbus e John Hughes, allora quell’ombra diventa una enorme oscurità che nasconde anche i pochi barlumi di luce di quest’ultima, ennesima (e speriamo ultima) rielaborazione dell’usato (poco) sicuro.

 

 

Alessandro Bonanni