LE RECENSIONI DI GIUSEPPE MASSARI: “TRACKS”

Siamo in un’epoca di turismo di massa compulsivo, con turisti che a volte non si accontentano del comune viaggio organizzato da pensionati e vogliono emozioni forti, la full immersion nella natura e altri stereotipi simili. Questo film sembra capitare a fagiolo in tale clima di esaltazione turistica.
La storia, oltretutto, è vera. La storia di Robyn Davidson (qui interpretata da Mya Wasikowska, già vista in “Alice in Wonderland”), che nel lontano 1975 era una ventenne australiana passabilmente disadattata che, stanca di studiare e/o cercare lavoro aveva deciso di fare nientemeno che una traversata del deserto australiano servendosi solo di tre cammelli (o meglio dromedari, introdotti nel continente dai primi coloni in quanto adatti a muoversi in quelle terre aride): se non fosse una storia vera sembrerebbe uno spunto poco verosimile.
Robyn impiegò ben due anni a preparare il viaggio: prima infatti dovette imparare a gestire i cammelli (dromedari) impiegandosi presso alcuni allevatori, ottenendo poi tre animali come ricompensa dei suoi servizi (e, per una incredibile fortuna, uno era una femmina gravida, che portò il numero a quattro). Poi servivano anche i soldi per finanziare l’impresa, e anche lì ebbe fortuna: un amico di amici era un fotoreporter del National Geographic, e grazie a tale aggancio Robyn ebbe un ottimo finanziamento in cambio della sua disponibilità a sopportare le incursioni del medesimo reporter, Rick Smolan (un Adam Driver terribilmente nerd).
Robyn partì quindi con i suoi quattro cammelli e la fedele cagnetta nera, sopportando come detto i periodici incontri fotografici con Rick (che di lei era un po’ invaghito) e venendo a contatto con la cultura degli aborigeni, che non casualmente (e forse anche con ragione) vengono sempre mostrati in un’ottica molto più positiva rispetto alla maggior parte dei bianchi che compaiono nel film, spesso chiassoni, invadenti e volgari, a sottolineare la naturale (e dichiarata) insofferenza di Robyn nei confronti del prossimo.


Ovviamente il viaggio (durato sei mesi) non era una passeggiata, diverse volte vediamo Robyn in difficoltà che se la cava per un pelo, aiutata a volte anche da quei pochi bianchi “positivi” che appaiono (e anche il petulante Rick in qualche occasione le dà una utile mano).
Il resto è storia: Robyn portò a termine il suo viaggio e ci scrisse un bestseller…
Alla fine si tratta di un pretesto per portare sullo schermo una full immersion nella natura e mostrare gli infiniti spazi del deserto (con fotografia adeguata ma forse non superlativa), per soddisfare coloro che tale full immersion agognano. Magari l’idea non è originalissima (si pensi anche a “Into the wild” con un protagonista attratto però da un paesaggio diametralmente opposto), ma è anche vero che di film originali se ne vedono sempre di meno, e l’idea del viaggio in mezzo alla natura funziona sempre.
Note di curiosità: sui titoli di coda appaiono le vere foto scattate a suo tempo dal vero Rick alla vera Robyn (e pazienza se molte erano anche “posate” in perfetto stile “giornalismo-verità” per modo di dire…); secondariamente, per chi non lo sapesse Mia Wasikowska (ottima anche qui come in “Alice”) è proprio australiana.
Dirige John Curran.

Giuseppe Massari