Serata Troisi su Cine34 con Il postino e Le vie del Signore sono finite

Cine34 dedica la prima e la seconda serata a Massimo Troisi. Si inizia alle 21 con Il postino (1994) e si prosegue alle 23,20 con Le vie del Signore sono finite (1987).

Il postino è un film del 1994 diretto da Michael Radford e Massimo Troisi. Con Philippe Noiret e Maria Grazia Cucinotta. Pur diretto dallo scozzese Michael Radford, la collaborazione alla regia viene attribuita a Massimo Troisi in Italia, mentre negli altri paesi il film risulta diretto dal solo Michael Radford. Ultima interpretazione di Troisi, scomparso solo 12 ore dopo la fine delle riprese; il film è ispirato a Il postino di Neruda (Ardiente paciencia), romanzo scritto dal cileno Antonio Skármeta. Il postino ha ottenuto 5 candidature agli Oscar 1996, quella come miglior film, miglior attore protagonista (Massimo Troisi), miglior regia (Michael Radford), miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora drammatica. Tuttavia solo quest’ultima candidatura si è tradotta nella conquista di una statuetta. Ottiene, invece, un BAFTA al miglior regista e un BAFTA alla migliore colonna sonora e altri ambiti premi, tra cui un Critics’ Choice Movie Award al miglior film straniero, il David di Donatello per il miglior montatore e un Nastro d’Argento per la miglior musica.

Trama
Mario, postino di un’isoletta dell’Italia meridionale dove viene a vivere l’esiliato poeta cileno Pablo Neruda, instaura con lui un’amicizia che lo inizia ai fascinosi segreti della poesia. Anche grazie a ciò, Mario riesce a sposare Beatrice, poi Neruda parte e sembra dimenticarsi dell’amico italiano. Che verrà “pestato” a morte durante un raduno politico e lascerà un figlio di nome Pablito.

Le vie del Signore sono finite è un film del 1987 scritto, diretto ed interpretato da Massimo Troisi e vincitore di un Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura. Sceneggiato da Troisi e Anna Pavignano, con la fotografia di Camillo Bazzoni, il montaggio di Nino Baragli e le musiche di Pino Daniele, Le vie del Signore sono finite è il terzo film da regista dell’attore napoletano (se si esclude la co-regia con Roberto Benigni di Non ci resta che piangere). Il film è stato quasi interamente girato a Lucera. L’ambientazione però è nell’immaginario paese di Acquasalubre, che, almeno a giudicare dal dialetto dominante, sembrerebbe situato in Campania. Con Massimo Troisi, Jo Champa, Marco Messeri, Massimo Bonetti, Enzo Cannavale.

Trama
Da quando Vittoria l’ha lasciato, Camillo è rimasto paralizzato. La malattia è chiaramente psicosomatica, dice il suo medico, tant’è vero che alla notizia che Vittoria s’è lasciata col nuovo fidanzato, lui ricomincia subito a muoversi. Intanto il fascismo è andato al potere, Camillo è andato in galera per una battuta sul Duce e Vittoria è andata a vivere a Parigi. Camillo però ora sa come muoversi.

Vedere un film inconsueto e delizioso come Le vie del Signore sono finite, diretto e scritto da Massimo Troisi e dalla fedele collaboratrice Anna Pavignano, fornisce l’occasione per fare esperienza di una modalità originalissima di accostarsi al mondo della rappresentazione, laddove la storia messa in scena, convenzionale nei suoi tratti salienti, è continuamente boicottata, decostruita, sconquassata dalla magnifica interpretazione dell’attore, che con la sua presenza si pone come un vuoto (linguistico-culturale) che erra vorticosamente tra le linee di fuga del profilmico. Troisi cortocircuitava il linguaggio, rendendolo un flusso in cui veicolare i continui cambiamenti di velocità e timbro della sua dizione, facendo regredire la comicità a meccanismi basilari, primordiali, quasi inconsci, e lo spettatore ride di gusto per l’insistenza eroica e ironica (impietosamente ironica) con cui la parola, girando spasmodicamente intorno ai più disparati argomenti, senza peraltro raggiungere mai un approdo, viene contestata e sabotata. Quello di Troisi era un ‘dis-dire’ che invitava l’ascoltatore a comprendere l’inutilità del significato rispetto alla potenza di un significante che ogni volta sgorgava dal tremolio incessante della voce, annunciando lo sconfinamento dal Simbolico al Reale. La ripetizione ossessiva di un termine (a tal proposito nel film in questione c’è una splendida sequenza che testimonia esemplarmente questa operazione), attraverso una modulazione sempre differente di tono, o ostinatamente uguale, faceva precipitare impietosamente il senso, e ciò che rimaneva era un suono che, per il solo fatto di essere così svuotato, si caricava di una vis comica imprevista e travolgente.

L’azione del film si svolge in Italia, durante il regime fascista, e Camillo (Troisi), un barbiere della cittadina di Acquasalubre, dopo essere stato lasciato dalla fidanzata Vittoria (Jo Champa), sviluppa un disturbo psicosomatico che lo paralizza, costringendolo su una sedie a rotelle. Durante un viaggio a Lourdes, incontra Orlando (Massimo Bonetti), animo nobile con velleità letterarie, affetto dallo stesso problema motorio. Il medico-psicanalista che ha preso in cura Camillo cerca di comunicare con Freud per segnalargli il particolare caso del suo paziente, ma le lettere, in virtù di un’ostilità verso l’Italia per le sorti del recente conflitto mondiale, vengono cestinate prima di giungere al destinatario. Il rapporto tra i due giovani protagonisti è l’espediente letterario utilizzato dagli sceneggiatori per articolare quello tra conformismo e contestazione, giacché Camillo, sebbene non assuma una dichiarata posizione politica, è per natura antifascista, e paga con una reclusione di due anni la sua opposizione alla dittatura.

È raffinato in tal senso il lavoro di scrittura degli autori che, senza affrontare direttamente il problema, tessono una trama metaforicamente incisiva, dato che, alla fine, sarà proprio la purezza del protagonista ad essere premiata, di contro all’amico (Orlando), il quale, invece, si lascia sedurre dal potere, diventando un importante funzionario del regime. Diverte e fa riflettere, inoltre, la questione religiosa che cova sottotraccia, visto che Camillo, una volta riconquistata la speranza di ritrovare la sua amata Vittoria, torna a camminare, creando sconcerto e una fanatica devozione in coloro che scambiamo l’improvvisa guarigione per un miracolo. Insomma, con una sorprendente leggerezza di tocco, il film mette alla berlina tutto un periodo storico, stigmatizzando incisivamente i discutibili valori che lo hanno animato, e innescando una lenta e inesorabile demolizione. Un film, Le vie del Signore sono finite, che dev’essere non solo recuperato (per chi l’avesse mancato), ma fortemente rivalutato, sebbene all’epoca della sua uscita ebbe il meritato riscontro di critica e pubblico. Chi scrive non può far altro che consigliarne caldamente la visione.

 

Luca Biscontini