Stasera in tv Casablanca, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman

Stasera in tv su RTV San Marino (canale 831 DT) alle 21 Casablanca, un film del 1942 diretto da Michael Curtiz. Si tratta di una delle pellicole hollywoodiane più celebri di tutti i tempi ed è tratta dall’opera teatrale Everybody Comes to Rick’s di Murray Burnett e Joan Alison. Il film uscì sugli schermi italiani il 21 Novembre 1946, con i manifesti realizzati dal cartellonista Luigi Martinati. Sono incalcolabili gli omaggi che il cinema ha dedicato a Casablanca, di cui Umberto Eco ha scritto «Un cliché ci fa sorridere, cento ci commuovono»: ad esempio, tra i tanti, in Provaci ancora, Sam, di Herbert Ross, in cui un imbranato critico cinematografico (Woody Allen) sogna di rivivere la passione tra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman con la moglie di un amico (Diane Keaton). Lo stesso titolo originale del film scritto da Allen come commedia teatrale, Play it again, Sam, ricorda la famosa battuta della Bergman: «Suonala, Sam. Suona Mentre il tempo passa». Il film ha ottenuto otto candidature e vinto tre Premi Oscar nel 1944 (Miglior film, Migliore regia a Michael Curtiz, Migliore sceneggiatura non originale a Julius J. Epstein, Philip G. Epstein e Howard Koch). Con Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Claude Rains, Peter Lorre, Dooley Wilson, Paul Henreid.

Trama
A Casablanca, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’americano Rick Blaine è proprietario del celebre e frequentatissimo “Rick’s Bar”. Nel locale circola gente di ogni provenienza: è una specie di zona franca dove la musica, gli amori, il gioco d’azzardo e l’avventura si combinano in un cocktail elettrizzante. Rick è in realtà molto meno cinico di quanto appaia.

“Per chi studia la genesi dei film di culto, Casablanca è un cruccio e un caso esemplare. Tutto comincia da un lavoro teatrale, peraltro mai andato in scena. Poi l’America che entra in guerra, Vincent Sherman che si candida senza successo alla regia. Hedy Lamarr che non è disponibile. La sceneggiatura che è pronta giusto tre giorni prima dell’inizio delle riprese. Con metà cast non ancora scritturato e l’altra metà che non sapeva con chi sarebbe rimasta Ilse nel finale. Anche se questa forse è una leggenda. Tuttavia Casablanca è il prodotto dei “migliori istinti di un gruppo disparato di persone di talento” (R. Haver). Hollywood all’epoca è davvero una macchina che alimenta se stessa. Le scene del mercato sono girate sul set che era servito per The Desert Song (Il canto del deserto, Robert Florey 1942), ma non sono solo gli attrezzi del mestiere a persistere sulla scena. È l’ingegno e il sapere delle persone che vi hanno preso parte che fa crescere il film in un processo di accumulazione e cernita. È l’inconscio del cinema che parla attraverso tutti loro. Da Michael Curtiz fino all’ultimo macchinista. Ci sono film che vengono ricordati per il regista e altri che restano famosi per gli attori o per il genere (H. Dienstfrey). Casablanca è di più, è una partenogenesi del cinema stesso.

Il risultato è un cumulo di cose messe assieme. Casablanca è l’America isolazionista che non sa o non vuole prendere parte a quella strana guerra d’oltreoceano. E Rick è l’americano isolato (ancora Dienstfrey) che in qualunque posto sperduto del mondo porta con sé i principi più sani della nazione. Ma che, messo di fronte al bivio, sa a chi deve portare le armi in Spagna. In questo senso Rick è l’eroe riluttante, il cavaliere della valle solitaria, il pistolero errante che viene convinto a prendere le armi e che, una volta risolta la situazione, schiva l’eroina e parte verso nuove avventure (P.F. Parshall). In ogni caso il suo è il ruolo nodale della vicenda. Perché tutti vengono da Rick (come diceva il titolo del lavoro teatrale) a chiedere un po’ d’amore, una speaking part, un numero alla roulette, un lasciapassare. Mostruoso apparato narcisistico, il Rick’s Café è un luogo mentale in cui gli altri sono tutte marionette guidate dall’io di Humphrey Bogart. È come un interminabile gioco di specchi (B. Day). Con Laszlo che è l’eroe che Rick avrebbe voluto essere, Renault l’uomo corrotto che ha rischiato di essere, Ugarte la vittima sacrificale che potrebbe diventare a ogni istante. Tutti vanno da Rick, ma è come se Rick li chiamasse all’appello, li facesse uscire dall’oscurità dell’incoscio per illuminarli alla luce del cinema. A tratti sembra che la stessa Seconda guerra mondiale non sia altro che un colossale gioco di teatro messo in scena per poter rivedere Ilse.

Tanto che non sarebbe difficile prendere un’altra angolazione, far appello al principio di realtà (P. Hogue). Ad esempio deridere Laszlo che col suo panama bianco, più che un eroe della Resistenza in fuga, sembra un turista americano a Bora Bora. Ma è un’opzione ingrata oltre che gratuita. Come ogni ricognizione dell’inconscio Casablanca è pateticamente ingenuo. Troppo ingenuo per non apparire sofisticato. E viceversa. Come si fa sulla Terra a pronunciare la battuta “Ricordo tutto di Parigi, i tedeschi erano in grigio, tu eri in blu”? Come si fa in un solo film ad avere due personaggi che si chiamano Ferrari e Renault? A Casablanca si può. E oltre a ciò, si può tacitare un canto nazista con le parole della Marsigliese. O gettare con nonchalance una bottiglia di Vichy per cestinare un governo collaborazionista. Qui è sempre tutto troppo per essere vero. Dunque è verissimo. O almeno è verissimo cinema. Distillato perfetto di anni di esperienza, di prove ed errori. È come quando il puzzle si ricompone, un po’ per ingegno, un po’ per tentativi ciechi e disperati, e mostra finalmente la figura nascosta.

Variety riconosce subito il film come un blockbuster. L’Academy gli consegna tre Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura). In Europa esce a guerra finita e l’accoglienza è tiepida. I ricordi sono ancora troppo freschi per permettere di apprezzare quel nazista da operetta di Strasser. Ci sono voluti degli anni, ma soprattutto Play It Again, Sam (Provaci ancora, Sam, Herbert Ross 1972) per farlo riemergere. Per far sì che tutti noi (maschi) ci sentissimo un po’ Bogart. E così Sam ha ricominciato imperterrito a suonare il tempo che passa. Anche se quella battuta non la pronuncia mai nessuno nel film. Le leggende sono fatte così”.
(Gualtiero De Marinis, Enciclopedia del Cinema, 2004)

 

 

Luca Biscontini

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