Stasera in tv Frantic di Roman Polanski

Stasera in tv su Iris alle 21 Frantic, un film del 1988 diretto da Roman Polanski, con Harrison Ford, Betty Buckley, Emmanuelle Seigner, John Mahoney, e le musiche del maestro Ennio Morricone. Il regista, oltre a interpretare il tassista che allunga i fiammiferi al protagonista, presta la sua voce all’uomo in giacca di tweed che interroga Michelle a casa sua. Frantic è il dodicesimo lungometraggio di Polanski, girato dopo Pirati, all’ombra della Torre Eiffel con cadenze e modi in stile tipicamente hitchcockiano.

Trama
Un chirurgo americano si reca a Parigi per partecipare ad un congresso scientifico. Lo accompagna la moglie: i due fecero proprio nella Ville Lumière la loro luna di miele e vivono il ritorno con nostalgia. La donna scompare misteriosamente dall’albergo. Il medico, dapprima solo preoccupato, incontra un clochard che ha visto la donna trascinata di peso su un’automobile da uno sconosciuto, forse mediorientale. Inizia così, per il protagonista, una lunga odissea nel labirinto dei bassifondi della città, aiutato solo da una ragazza coinvolta suo malgrado in un intrigo internazionale.

Pellicola piena zeppa di riferimenti cinematografici di alto livello dove ogni fotogramma rimarca e ridivide il cinema stesso di Polanski: transito di demarcazione, in questo film il regista tende a darsi una risposta a ogni devozione immaginifica impressa nel proprio sito-intimo. Un modo di ripresa semplice efficace dove ogni movimento dall’alto in basso e viceversa denota una chiusura-apertura del cassetto delle memorie e del senso onirico di qualsiasi mondo nascosto. Frantic è il dodicesimo lungometraggio di Roman Polanski, girato dopo il (quasi) deludente Pirati, all’ombra della Torre Eiffel con cadenze e modi tipicamente in stile hitchcockiano. Un film di schiarimenti e vedute (in)volute rispetto alle pellicole di genere dove ogni inquadratura e appunto di macchina da presa riaccende l’entusiasmo e tiene la corda allo spettatore con fine intelligenza e sagacia. Un Polanski avveduto e rannicchiato tra un albergo, vie limitrofe, un piccolo attico, delle scalinate, un parcheggio sotterraneo e un lungo Senna finale dove lo sguardo si coglie dietro un finestrino chiuso con uno sguardo puntato verso l’alto della Torre.

All’ennesimo giro di pellicola, lo spettatore rimane rinchiuso tra chiaroscuri incrociati, diktat di parole, telefonate in movimento e finestre in testa: mai dimenarsi tra rituali risaputi e ingegnose vie d’uscita; tutto è confezionato con normale alchimia e senza spocchiose ridondanze gialle. Un cuore che apre se stesso dietro a un filo che scorre sempre e si riannoda in un finale eccelso (ed eccessivo) con rimpasti narrativi (forse) non voluti e triste facce che si svegliano da un sonno (di un fuso orario). Polanski rende omaggio al funambolismo di Hitchcock e alla magia blu di Lynch in una Parigi derubata di ogni poesia, e trasformata in uno scenario da telefilm americano, tra locali underground, inseguimenti e trame terroristiche internazionali. Non a caso il filo conduttore del frenetico percorso del dottor Richard Walker attraverso la ville lumière è la Statua della Libertà, che, sotto forma di copia o di souvenir, rappresenta lo storico tributo della Francia agli Stati Uniti. La sua presenza ossessiva e posticcia è, contemporaneamente, un riferimento all’artificio della menzogna e della messinscena, al circolo vizioso generato dall’impossibilità di sapere, di arrivare al nocciolo della questione: una caccia senza prospettive in cui ci si imbatte continuamente nello stesso ingannevole fantoccio. Il panico è figlio del caos, della confusione tra gli opposti, del timore che ciò sembra falso sia vero, e ciò che sembra vero sia falso: una donna che sparisce nel nulla è un fatto palese, eppure inaccettabile; la sua presunta fuga volontaria un’ipotesi confortante, eppure improbabile. La scomparsa è, per definizione, il buco nero in cui precipitano, per rimanerne definitivamente catturate, tutte le domande: dei mille interrogativi lanciati verso il nulla nessuno torna indietro recando con sé la traccia di una risposta. Ciò li rende tutti ugualmente mortali ed ugualmente eterni, in un’uniformità senza speranza che, per la mente pensante, sancisce la condanna alla follia.

L’abbandono delle abitudini e delle certezze, che crollano di fronte all’evidenza del paradosso, fa perdere all’individuo la propria identità sociale, predisponendolo a frequentazioni ed atti prima del tutto inconcepibili: la metamorfosi, per il protagonista, cancella la sua compostezza ed affidabilità di chirurgo di fama internazionale, e la sostituisce con un incredibile piglio investigativo e criminale, che affronta con cinica disinvoltura lo spettacolo della morte e il degrado dell’emarginazione, senza arretrare di fronte al pericolo. In Frantic l’eroe è, semplicemente, un uomo normale e giusto che impazzisce, che fa di sé lo strumento messo al servizio di un unico scopo, dimenticando paure e inibizioni, ma non i propri sentimenti e convincimenti morali: un esempio di come, in circostanze eccezionali, si possa essere completamente fuori di sé, eppure perfettamente in sé.

 

 

Luca Biscontini