Stasera in tv Malizia di Salvatore Samperi, con Laura Antonelli

Stasera in tv su Cielo alle 23,30 Malizia, un film del 1973 diretto da Salvatore Samperi. Con un incasso di oltre 5 miliardi di lire, è stata una delle più fortunate commedie sexy all’italiana, il modello per innumerevoli pellicole successive, il maggior successo economico di Samperi e l’affermazione della Antonelli a icona erotica del decennio. Prodotto da Silvio Clementelli, con il soggetto e la sceneggiatura di Ottavio Jemma, Salvatore Samperi e Sandro Parenzo, la fotografia di Vittorio Storaro, il montaggio di Sergio Montanari, le scenografie di Ezio Altieri, i costumi di Piero Tosi e le musiche di Fred Bongusto, Malizia è interpretato da Laura Antonelli, Turi Ferro, Alessandro Momo, Tina Aumont, Pino Caruso, Angela Luce, Stefano Amato, Lilla Brignone. In Italia fu il terzo film per incassi della stagione cinematografica 1972/73, dopo Il padrino e Ultimo tango a Parigi. Malizia detiene ad oggi il diciannovesimo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre, con 11 756 327 spettatori. Vinse tre Nastri d’Argento (Miglior attrice protagonista – Laura Antonelli, Migliore attore non protagonista – Turi Ferro, Migliori costumi).

Trama
Ignazio La Brocca è un venditore di tessuti rimasto vedovo. Conosce Angela La Barbera, domestica assunta dalla moglie prima di morire, e, innamoratosi subito dei suoi modi gentili e soprattutto delle sue curve mozzafiato, decide di volerla sposare. La donna suscita però anche l’interesse dei due figli più grandi, soprattutto Nino, quattordicenne totalmente preda dei propri ormoni.

“L’idea era una rivisitazione divertita di quel momento particolare che è l’adolescenza, con una costruzione curiosa: in questa casa, dopo la morte della madre, arrivava un angelo – la protagonista di Malizia si chiamava Angela – ed era giusta per tutti. Il bambino non faceva più la pipì a letto. Era un vero angelo. In quel periodo poi, una donna di servizio che veniva dalla campagna, è come se oggi arrivasse una filippina, era un mondo assolutamente estraneo alla piccola borghesia a cui appartenevano i protagonisti. E qualche cosa era anche autobiografica, risse tra me e mio padre, perché mi trovava pacchetti di sigarette; per gioco, ho chiamato Turi Ferro Ignazio, come mio padre. Grazie zia era un film adolescenziale, Malizia, in qualche modo, è superare l’adolescenza e vederla con occhi un pò più distaccati, sorridendo, senza prendere il tutto seriamente come invece era in Grazie zia. (…)

Nel realizzarlo abbiamo speso molto poco ed è stato un exploit in Italia e fuori dall’Italia; in Francia è ancora uno dei primi dieci incassi di tutti i tempi per i film italiani. Avevo visto un piccolissimo film con Laura Antonelli e me ne ero innamorato immediatamente, aveva questa faccia da Madonna e un corpo da Venere, attaccato alla terra, era un pò la dea della fertilità, con questo faccino, invece, dolcissimo. La scelta su Laura è stata immediata. In quel periodo Clementelli aveva sotto contratto sia Mariangela Melato, diciamo commercialmente era settanta milioni di allora, e Laura Antonelli che era sette. Considero Mariangela un’attrice straordinaria, ma ero convinto che Laura fosse perfetta per la parte. Lo stesso per un padre come Turi Ferro, con la sua esperienza teatrale, è stata una scelta quasi immediata. Volevamo fare un film senza grossi nomi, me ne sono stati proposti un paio, tipo un tentativo con Manfredi – per carità – che mi avrebbero completamente spostato l’asse del film, da quello che in realtà era. Un film in qualche modo corale, con questo centro di gravità. La scelta di Alessandro Momo, invece, fu un pò casuale: abitava di fronte a casa mia, ed era uno di questi discolacci che facevano casino dalla mattina alla sera; venne a fare un provino insieme ad altri, io lo conoscevo già, conoscevo i genitori. Lui parlava abbastanza romanesco e utilizzai i provini tenendoli muti, senza il sonoro, dalla faccia ho capito che funzionava. Alessandro è diventato poi una specie di fratello minore, i suoi genitori non sono giovanissimi, e per me, mia moglie, la sua vicenda è stato un brutto colpo: è morto poco prima che nascesse mio figlio. L’attaccamento è un affetto che mi rimarrà sempre. Tutti sostenevano che, in fondo, fosse una storia molto italiana, invece ha funzionato dappertutto. In realtà,

Malizia, credo che avesse delle qualità grosse, anche a rivederlo oggi: io, Storaro, il mio montatore, le scenografie di Ezio Altieri; un amalgama estremamente ben riuscito. Uno di quei film che, quando esci dal cinema, dici: ‘Che bel film’. Non ‘che bella fotografia’, cosa che capita spesso con Storaro. (…) Le cose giuste al momento giusto hanno questa esplosione. Ma sono convinto che ci fosse la capacità di riconoscersi da parte di tutti, in quel periodo. Curiosamente fu un film che piacque molto alle donne, non fu mai considerato un film antifemminista. I grandi successi è poi sempre difficile spiegarli. (…) Il cinema è luce, se si spegne la luce, non si vede più niente quindi è fondamentale la complicità tra il direttore della fotografia, il regista e lo scenografo. La curiosità di Malizia è che era un film totalmente ambientato al tramonto, c’era, dall’inizio alla fine, luce arancione. Facevamo entrare questo ‘orange’ dalle finestre, non c’importava niente del realismo, dava questa atmosfera siciliana un pò calda, anzi molto calda. Poi, per ragioni pratiche (abbiamo girato quel film in dicembre), un giorno ci siamo resi conto che alcuni negozi all’interno tenevano le luci accese, quindi abbiamo chiesto al Comune di accendere tutti i lampioni delle strade. La luce era fondamentale per creare l’atmosfera, nel gioco finale dei tuoni e dei lampi.

Abbiamo girato due terzi del film dentro a quella casa, poi a un certo punto l’abbiamo stravolta: i teli bianchi, tutta la geometria e la geografia della casa era cambiata. Un posto in cui avevi visto per due terzi del film, improvvisamente cambiava: questa specie di fantasmi illuminati, questi mobili coperti da teli bianchi, diventano abbastanza affascinanti. Come spesso si fa al cinema, si tende sempre a lasciare un pò di luce per non arrivare al buio totale. In realtà abbiamo fatto in modo che la torcia elettrica cadesse vicino ai due attori e lasciasse quel segno, di luce diffusa. Abbiamo fatto tutto quel pezzo di scena facendo: lampo, buio, lampo, buio, senza questa lucina di accompagnamento. Certe cose nascono casualmente, vedendo quello che fai ti rendi conto che la via usuale conduce forse a risultati meno belli di quella inusuale. Giravamo quasi tutto macchina a mano, Vittorio aveva uno straccio davanti per confondersi se ci specchiavamo (…) siccome lei parlava in soggettiva, c’era qualcosa di credibile nella sua rabbia nei confronti della macchina da presa, quindi verso di me e verso Vittorio.

Comunque sentivamo di far qualcosa di ‘non tanto normale’. C’era il gusto di una cosa particolare. Quello strumento era in qualche modo questo gioco sul potere, questa specie di arma che metteva in condizione di inferiorità lei. Sempre nel gioco di vittima e carnefice, in cui c’è un rapporto di complicità. Nel momento in cui lui la perde, lei rifà lo stesso gioco e lui ha paura. Però, anche raccontare che il suo potere era un potere adolescenziale (…) certi giochi, crudeli si fa per dire, li faceva per tentare di capire quanto su di lei contava. Quando si arrivava alla conclusione, lui non sapeva cosa voleva. Nel momento in cui lei prende il gioco in mano, lo accompagna verso un cambiamento epocale. (…) Alcuni accenni sulle differenze di classe, c’erano. Quando Turi Ferro chiede di poter sposare Angela, la madre gli dice: ‘La serva si può usare in tanti modi, ma non si può sposare.’ Lui risponde: ‘C’e un vantaggio, così non la pago neanche.’ La censura televisiva mi ha fatto perdere venti minuti di film, non si capisce assolutamente niente. Tutta la scena dei lampi e dei tuoni, è sparita. Fu una follia…

(Malizia 2000) fu un’operazione purtroppo terrificante, Laura non stava assolutamente bene. Era un’idea fissa di Clementelli di fare quel film. Io mi sono trovato coinvolto perché lei aveva avuto dei problemi giudiziari e, non fare il film, voleva dire da parte mia dare un giudizio su quello che le era successo (…) L’unica cosa che ne usciva era un’oggettiva tristezza del personaggio, la malinconia di Laura di fronte a tutti i suoi problemi: l’età, la solitudine… Alessandro era veramente un’ira di Dio e poi aveva la mania di togliersi le scarpe quando non girava. Non poteva usare le sue mani, perché era minorenne, quindi quando c’erano le mani sulle gambe di lei, erano le mani del mio aiuto regista. Salvo che un paio di volte, di nascosto, lei si è lasciata toccare ed era immediata la reazione di Momo, gli si accendevano le orecchie che sembravano due fari… Avevo 23 anni quando ho fatto Grazie zia, quello che ha fatto Malizia ne aveva 28, quindi non potevo più passare per adolescente. (…) Quello che esprimevo in Malizia forse era un po’ più generalizzato e un po’ più divertito e distaccato, anche se ero sempre molto partecipe. Mi ha svecchiato moltissimo, è ancora modernissimo, girato in maniera perfetta. Non parlo di me, parlo di Laura, senza di lei non sarei riuscito a farlo, senza Turi Ferro, Angela Luce e poi tutti i vari tecnici. Un film bellissimo, di quelli che si chiamano ‘film fortunati’, che hanno una loro storia e se ne vanno per conto loro…”.
(Salvatore Samperi)

 

 

Luca Biscontini