STORIA DEL CINEMA WESTERN ITALIANO: DJANGO IL BASTARDO

Django il bastardo’ (1969) è forse il più esplicito spaghetti-western gotico e insieme una delle opere più riuscite del regista Sergio Garrone.

Il protagonista, Anthony Steffen (pseudonimo di Antonio De Teffè), coautore della sceneggiatura, era già stato Django in altre pelllicole precedenti (e ancora lo sarà in altre successive) e, pur non avendo la forza del Django originale di Franco Nero, qui tratteggia il suo personaggio con connotati decisamente soprannaturali, che in qualche modo amplificano al massimo le caratteristiche sinistre già presenti nel ‘Django’ (1966) di Sergio Corbucci e ne fanno un personaggio del tutto originale, lontano dalle solite imitazioni: una sorta di vendicatore dell’oltretomba, sempre impassibile, vestito con un poncho nero che lo fa sembrare un pipistrello, che appare e scompare come uno spettro dinanzi ai suoi nemici e non manca di pronunciare frasi che chiariscono la sua origine soprannaturale. Django torna dalla guerra, e probabilmente anche dall’aldilà, per vendicarsi di tre ufficiali sudisti che hanno tradito il suo gruppo in battaglia (il Django interpretato da Franco Nero aveva invece combattuto per il Nord), e per ogni uomo da uccidere pianta per terra una croce con inciso il suo nome e la data della morte. Tutta la lunga sequenza notturna in cui affronta i pistoleri ingaggiati per ucciderlo è condotta con i toni di un horror vero e proprio e punteggiata dalle sue apparizioni spettrali in cui ogni volta terrorizza i suoi nemici prima di ucciderli.


Il film, giustamente, è stato spesso citato come fonte d’ispirazione per Clint Eastwood, prima col suo ‘Lo Straniero Senza Nome’ (1973), e poi, soprattutto, con ‘Il Cavaliere Pallido’ (1985), ma anche la versione cinematografica de ‘Il Corvo’ (1994) di Alex Proyas ha pesanti debiti verso questa pellicola, che oltre al protagonista tornato dalla morte per vendicarsi presenta altri personaggi caratterizzati in modo ‘weird’, come ad esempio Hugh (impersonato dal bravo Luciano Rossi), fratello del cattivo, che sembra uscito da un romanzo gotico: un folle epilettico, pallido come un vampiro, frequentemente animato da improvvise esplosioni di furia omicida. Dal canto suo Garrone si prodiga, molto più che in altri suoi film, in inquadrature bizzarre, ora angolate, ora dall’alto, come a sottolineare ancora di più l’atmosfera sovrannaturale in cui è calata la vicenda, e anche la colonna sonora di ‘Vasco’ Vasili Kojucharov ed Elsio Mancuso contribuisce a colorare la pellicola di tinte sinistre e irreali. Il tutto fa di ‘Django il bastardo’ un’opera di fascino innegabile, un piccolo gioiello del western con connotazioni orrorifiche, piuttosto insolito nel panorama del western all’italiana.

Fonte: Francesca Paolucci  http://francescapaolucci.blogspot.it/