Civil war: la guerra civile americana 2.0 di Alex Garland

Dopo aver diretto l’horror Men nel 2022, Alex Garland torna dietro alla macchina da presa per girare Civil war.

L’inizio è in media res in una New York devastata da attentati kamikaze e l’aria che si respira è quella di un universo distopico.

Il giornalista Joel , interpretato da Wagner Moura, e la fotografa Lee, che ha il volto di Kristen Dunst, documentano insieme gli accadimenti. La loro missione è quella di arrivare a Washington per intervistare il presidente, mentre l’America che hanno davanti deflagra nella guerra civile. Durante il viaggio verso la meta, assistono a esecuzioni sommarie ai danni di altri giornalisti, consumate a sangue freddo dai militari. Joel e Lee incontrano Sammy, stimatissimo collega più anziano, portato in scena da Stephen McKinley Henderson. Insieme a quest’ultimo Jesse, una fotografa in erba dai connotati di Cailee Spaeny, che considera Lee una leggenda. Tutti uniti continuano il viaggio a bordo di una vettura, e ciò che documenteranno lungo il percorso sarà il caos. Cecchini che sparano verso una fattoria ad un contadino, che difende rispondendo al fuoco la sua proprietà . Il tutto senza un perché.

Garland sembra non fornire alcuna indicazione, la trama è minimale e sottintende che la brutalità può essere scaturita dall’esasperazione di una politica polarizzata. Questo potrebbe aver innescato una dialettica che è tracimata nell’astio e nella violenza, con la solita corsa all’uso delle armi in un’America sempre in guerra anche contro se stessa. Civil war mette in evidenza il crollo totale della democrazia, ove dei militari gettano nelle fosse comuni masse di cadaveri, continuando a giustiziare chiunque solo perché hanno il potere di farlo. I punti a favore del film sono la fotografia curata dal fedele Rob Hardy e le sequenze d’azione dirette a dovere, più gli effetti speciali. Sommando il tutto l’operazione è visivamente efficace e possiede una sua estetica, ma a livello di contenuti non raggiunge certo film dell’intensità pari, per esempio, a Le urla del silenzio di Roland Joffé, del 1984, che tratta il tema della guerra civile in Cambogia proprio dal punto di vista giornalistico.

La produzione risulta inoltre essere la più costosa della A24 per un progetto molto pretenzioso che lascia al pubblico il compito di trarre le conclusioni, alla luce del non detto che poteva essere interessante, ma che in realtà poco margine conferisce ad un’opera che scorre via senza lasciare granché. Garland sul finire sembra voler mettere le cose a posto a modo suo, in una scacchiera politica ormai compromessa , laddove per abbattere un presidente illegittimo si costituiscono gli Stati Uniti Occidentali, ovvero la coalizione formata dalla California e dal Texas. Territori da sempre del partito democratico da un lato e dei repubblicani dall’altro, in una visione ideale che risulta però nel film assai piatta e superficiale.

 

 

Fabrizio Battisti