E la festa continua!: Guédiguian, Marsiglia, la politica e…

A fungere da opportuno elemento distintivo dei film diretti dall’appassionato ed esperto regista francese Robert Jules Guédiguian è senz’alcun dubbio la capacità di unire la geografia emozionale, rinvenibile nell’amore per la natìa Marsiglia, assurta ad avvolgente teatro a cielo aperto, con l’intensa tessitura malincomica di prospettive astratte ed esami comportamentisci.

Non fa eccezione E la festa continua!, imperniato sia sull’onnipresente senso d’appartenenza, attribuito alla fede politica di sinistra in egual misura dei legami di sangue, sia sui trapassi di tono, dal piglio canzonatorio al nodo alla gola esacerbato dalle ansie sotterranee, che tendono ad appaiare le strette al cuore all’arguzia delle frecce mordaci.

La contemplazione del reale, promossa ad antidoto contro gli eccessivi voli pindarici (giacché pure dai vincoli di suolo non si scappa), costituisce l’irrinunciabile punto di partenza per Guédiguian. Deciso a trarre partito dal tragico crollo di due palazzi in rue d’Aubagne, nel quartiere di Noailles, a un tiro di schioppo dal Porto Vecchio di Marsiglia. Divenuto simbolo da una parte dell’incuria dell’apparato locale, conscio dapprincipio dell’instabilità degli edifici ridotti in macerie, dall’altra dell’indefesso desiderio di riscatto degli alfieri dell’egemonia della materia sullo spirito. L’ovvio timbro documentario cede presto il passo alle occasioni di stemperante sorriso offerte dalle prove del coro che l’attrice Alice allestisce nella limitrofa chiesa occupata di fronte allo sguardo divertito del fidanzato Sarkis. Un barista d’origine armena, laureato in medicina, entusiasta all’idea di mettere in cantiere grazie ad Alice una mezza dozzina di eredi. Il pranzo in letizia, con la futura suocera, Rosa, che dopo aver apparecchiato la tavola a regola d’arte scimmiotta le pose pugilistiche di Mohammed Ali, introduce il piacere della convivialità domestica, il gusto per lo sberleffo, le curiose linee dei volti degli ospiti. Compreso lo zio, col vetusto cappello praticamente incollato in testa, fiero di chiamarsi Antonio come l’idolatrato Gramsci.

La maturità narrativa di Guédiguian si manifesta in special modo nella spontaneità che congiunge le questioni private della pentola, note al coperchio, con le faccende d’ordine pubblico. Ragioni d’incontro e d’inevitabile confronto. Con lo scontro dietro l’angolo. In agguato. L’analisi degli stati d’animo prende piede quindi sulla scorta del vivace andamento della trama. In grado di sopperire allo scarso sviluppo diegetico nella catena degli eventi, in sospeso al pari dei progetti edilizi predisposti per riparare alla tragedia che ha comportato pure lo sgombero di diverse famiglie, con l’alacre incursione nel quotidiano. In cui le stradine, i vicoli, la piazza Jean Jaurès, le rocce ocra, il mare trasfigurano le iniziali cadenze di commedia anteponendo al compiuto sarcasmo l’ordinario incanto della topofilia. Ovvero l’affetto per luoghi distanti in ogni caso dall’immobilismo degli sfondi cartolineschi. Questa sorta di precario dinamismo dei sentimenti intimi, ostili alle promesse campate in aria della classe dirigente colpevole di lasciare all’abbandono le persone rimaste senza casa, ricava comunque, lì per lì, brio dalla sagacia della scrittura per immagini. Il suggestivo ricorso ad alcuni disinibiti movimenti di macchina all’indietro dispiega apparentemente le ali allo scandaglio ambientale. A braccetto con le tensioni formali tipiche del cinema da camera.

I seguenti motivi di lirismo, diametralmente opposti alle sapide gocce d’ironia versate tanto nell’inatteso colpo di fulmine tra Rosa e l’immusonito padre di Alice quanto nella velleità di fornire conforto attraverso le ariette musicali intonate in gruppo dalle vittime del cinismo di chi allarga solo gli orizzonti delle spiagge per ricchi, tralignano invece in mere polpette romanzesche. Assai povere di autentici contenuti. L’involuzione stilistica ed espressiva, che trascina i romantici soprassalti d’umore nei ridicoli crucci delle soap-opere, impedisce ai risvolti introspettivi di raggiungere gli scopi prefissi da Guédiguian. Nonostante la bravura recitativa della prodiga moglie Ariane Ascaride, nei panni dell’intelligente ed energica Sara, nonché dell’intero cast, assortito allo scopo di cogliere appieno certe goffagini, E la festa continua! finisce per prendersi troppo sul serio. Di conseguenza i marchi di fabbrica dell’autore con le polveri bagnate in zona Cesarini, sebbene proseguano a mandare in brodo di giuggiole gli spettatori attratti più dai segni d’ammicco della vanitosa militanza, rimirata alla stregua di un’affinità elettiva, che dalla debita coerenza dell’assunto, annacquano la vis polemica frammista alle facete punture di spillo dell’incipit. Tradendo i sopraggiunti limiti del ritrattista di razza avvezzo però, gira gira, a battere sempre sullo stesso tasto e a pagare dazio al deleterio autocompiacimento.

 

 

Massimiliano Serriello