Gianluca Buratti, Direttore d’orchestra gospel: emozionare emozionandosi è una grandissima gioia.

Incontriamo per la nostra intervista il Direttore d’orchestra e musicista Gianluca Buratti, artista sensibilissimo, ma anche determinato e ce ne vuole infatti di determinazione per condurre un coro fatto di diversi elementi e persone dalle varie sfaccettature e caratteristiche. Non vogliamo svelarvi di più, ma conosciamolo da vicino attraverso questa intervista.

Benvenuto Gianluca raccontaci i tuoi esordi e da quando è nato, e poi maturato, il tuo rapporto con la musica.

Il mio rapporto con la musica nasce con me fin dall’inizio. Mio papà era tenore e già da bimbo i miei mi portavano in giro per teatri. Rammento un simpatico aneddoto, credo di non aver avuto più di sei anni e ricordo che il tenore Giacomo Lauri-Volpi compiva 80 anni che festeggiava al Teatro di Busseto, città di Giuseppe Verdi. Cosa centrassi io in quel contesto non so, ma certamente ero l’unico bimbo in quel teatro. Papà salutò la soprano Maria Caniglia ed il tenore Franco Corelli. Entrambi mi lanciarono sguardi stupiti, ma in realtà io mi divertivo molto. A nove anni iniziai a studiare il piano incuriosito e certamente non pensavo, all’epoca, che potesse diventare la mia futura professione. Morì la mia insegnate di piano ed ebbi un momento di sbigottimento, ma poi fui chiamato come tastierista per suonare in una band. Passai così drasticamente da Beethoven ai Doors. Ci furono poi collaborazioni con cantanti che accompagnavo come pianista, esperienze di piano bar e partecipai anche al programma televisivo Sarbanda come concorrente. Con l’avvento della tecnologia approcciai anche a lavori di programmazione in sala di registrazione. Ebbi così modo di applicare nella pratica tutti gli anni di studio di piano classico. Ad un certo punto mi chiesero se mi volessi occupare di un coro, fu un primo abbozzo del coro gospel. Mi piacque molto e decisi di mettere su un mio coro gospel e pensa il prossimo anno festeggiamo i 10 anni.

Secondo te cosa rendere un Direttore davvero eccellente?

La risposta è complessa. Ti faccio un esempio; molte volte si sono presentati ragazzi diplomati al conservatorio, ma quando in audizione gli metti davanti un semplice spartito hanno difficoltà a leggerlo, per cui ti dico che non conta solo il titolo di studio. Il coro è un’orchestra per di più, nel mio caso è amatoriale, per cui un Direttore a mio parere deve avere anche molte capacità di empatia, essere un manager, capire i singoli caratteri. Deve saper comunicare in modi differenti ed abbinare alle qualità di conduzione artistica anche capacità di leadership e conduzione umana. Questo a mio parere rende il Direttore davvero sopra le righe.

Qual è il collante emotivo per i membri del coro che permette loro di andare avanti e non smettere di credere nel sogno?

Proprio il fatto di vivere il coro come una famiglia, l’amicizia la frequentazione. Stare e sentirsi vicini anche nei momenti non facili, nei momenti di gioia ma anche in quelli di dolore. Un collante da non trascura è anche la tavola e lo stare insieme al di fuori delle situazioni corali.

In questi anni di carriera quali sono state le emozioni più grandi?

Ce ne sono state tante e devo dire che ogni anno trovo modo per emozionarmi. Una prima emozione fu quando ci esibimmo a Piazza di Spagna che per un romano è sempre qualcosa di straordinario. L’esibizione a Castel Santangelo non fu da meno ed anche quella fatta al Ministero degli Esteri o ancora quando abbiamo cantato a Piazza San Pietro a pochi metri dal Papa, o nelle corsie di un ospedale di oncologia pediatrica, dove la voce prima di cantare ti si strozza in gola per ciò che vedi. Devo dire che ogni anno proviamo tutti insieme un’emozione diversa e forte.

C’è un brano a cui sei più legato?

Bella domanda, si c’è . E’ un’opera, “Il musical Messiah”. E’ stata una grande soddisfazione artistica per me, perché ho portato il coro in scena in un’opera stando io dietro le quinte. E’ stato meraviglioso ascoltarli preformare e cantare senza avere il mio riferimento davanti, un’enorme vittoria per me. Anche Total Praise un brano che arriva fin nel profondo intimo. Spesso quando si esegue questo pezzo ho notato le lacrime in chi ascolta, ma anche in chi lo canta. Emozionare emozionandosi è una grandissima gioia. In ogni canzone comunque metti te stesso, è come fosse una figlia quando ci metti mano. La costruisci, la fai crescere, quindi l’esito dipende molto anche da te e da quanto riesci a trasferire al coro.

Guardando al passato quali sono le cose che ricordi con piacere?

A livello di emozioni oltre a quelle vissute con il coro, rammento con piacere la collaborazione con una jazz band con cui realizzammo due CD, uno di standard jazz e uno di brani inediti di nostre composizioni che abbiamo poi venduto e distribuito in favore di Telethon. Il primo si intitola “Re-love-ution” giocando sul nome del gruppo “Revolution Jazz Band” ed il secondo “Colors of Mediterranean Jazz”. Avevamo generato un sound particolare che pescava un po’ ovunque dallo spagnolo, all’africano e ci esibimmo anche a Mirandola alla riapertura del centro storico.

Possiamo concludere dicendo che il coro gospel, la musica, è un tipo di comunicazione che va ben al di là delle parole?

Si certamente. A tutti i coristi dico questo, anzi dedico dei lab appositi in cui spiego la storia degli spiritual perché è importante conoscere la storia della deportazione, il panorama di sofferenza vissuto e perché siamo arrivati a questi canti Quando parlo con i docenti gospel americani mi dicono che loro hanno raggiunto un grande livello di adattamento alla sofferenza e persino i loro giovani. Amo ricordare ai miei coristi che noi cantiamo in inglese, lingua non poi così tanto conosciuta, per cui oltre al canto, il gospel ha bisogno anche dell’interpretazione corporea. E’ infatti molto importante anche come si muove il corpo attraverso cui trasmettiamo ulteriori sensazioni. Quando accade che a fine concerto si avvicinano le persone, magari degli anziani che ti dicono che li hai fatto coouovere, anche se qualcuno di loro può non aver capito una sola parola in inglese, vuol dire che il messaggio emozionale ed il contenuto è arrivato. Questa è la più grande soddisfazione per me per in qualità di Direttore del coro.