Il flauto magico di piazza Vittorio: tra teatro filmato e sperimentalismo spericolato

Tra le altre cose, Il flauto magico di Mozart nasce come opera di integrazione culturale.

Ed é proprio questo che Il flauto magico di piazza Vittorio di Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu insegue e cavalca in direzione forse contraria e, di certo, ostinata, inserendosi in quella frangia di genere poco frequentata, probabilmente perché ostica, dall’atto creativo a quello recettivo del pubblico, del teatro al cinema.

Certo, non c’è solo teatro: nella storia del principe Tanino, deciso a liberare dallo stregone Sarastro la dolce Pamina, si inseriscono contaminazioni da ogni parte, visive, cromatiche, stilistiche, di montaggio e di regia.

Una sorta di meltin pot affascinante fino a un certo punto, perché le variazioni sul tema non sono sempre azzeccate, né il linguaggio polisemantico ne permette una visione scorrevole.

Neanche la musica passa indenne la trasformazione: da Mozart, la contaminazione spazia al reggae, al rock, al jazz, fino ad un pop opulento, per un medley che rispecchia in pieno lo spirito multietnico (in senso ampissimo) dell’opera.

Il quadrato perfetto della piazza Vittorio di Roma, allora, diventa palcoscenico ideale per attualizzare questo singspiel (opera di canto e recitazione) come nessuno finora aveva provato e osato fare.

C’è gioia e c’è libertà in questo infrangere volontariamente e consapevolmente le regole, ma, inevitabilmente, il carattere di fondo del film è fin molto rapsodico, troppo poco coeso, troppo cerebralmente teorico nella sua anarchia così studiata, per essere sincero e per agganciare emotivamente.

Niente rimane inalterato sotto l’occhio dei registi, tutto è contaminato, deformato e storpiato secondo un disegno che non è sperimentalismo, ma eccesso compiaciuto e, a tratti, fastidiosamente lezioso.

Sono poi gli stessi performer dell’orchestra a stare in scena come personaggi, e, alla fine, si ha l’impressione che neanche la presenza fortemente carismatica di Fabrizio Bentivoglio (nel ruolo di Sarastro) sia capace di stabilizzare o legittimare un’operazione che, a conti fatti, sfiora l’onanismo autoriale con un concettualismo troppe volte fine a se stesso.

 

 

GianLorenzo Franzì