Neverlake di Riccardo Paoletti

Neverlake è un film horror del 2013, opera prima del regista toscano Riccardo Paoletti, che sarà conosciuto maggiormente per il suo Tafanos del 2018, ed interamente girato ad Arezzo, città natale del regista, ed alle pendici del Monte Falterona, in Casentino, presso il cosiddetto Lago degli Idoli, importante sito archeologico di origini etrusche. Sul fondo del lago sono state ritrovate numerose statuette in bronzo di figure umane o raffiguranti parti anatomiche, prodotte dagli Etruschi, ad oggi conservate nei più importanti musei di tutto il mondo. Vista la grande importanza dell’acqua come datrice di vita, gli Etruschi assursero questo lago, un tempo chiamato della Ciliegiata, e divenuto degli Idoli dopo gli scavi, a luogo devozionale, anche perché da questa zona passava un’importante viabilità che collegava l’Etruria toscana ed umbra alle zone dell’attuale Romagna e relativi porti adriatici. Le acque del laghetto erano ritenute sacre perché sembra avessero particolari proprietà benefiche, quindi chiunque passava da qui gettava nell’acqua un proprio idolo come voto alle divinità. Basandosi su questa suggestiva fetta di storia aretina, Paoletti ha costruito un horror davvero ben fatto, a metà tra la ghost story, la favola nera e il torture porn più estremo.

Jenny, ragazza italo-americana, di padre americano e madre toscana, si reca per la prima volta in Italia, dove sarà ospite nel casale del padre, il dott. Brook, chirurgo ormai in pensione che si interessa di archeologia, e che vive con la sua ex assistente dei tempi dell’ospedale, Olga. La ragazza, dopo un’accoglienza calorosa, inizia però ad annoiarsi nella grande casa sperduta in mezzo al nulla, in quanto il padre le dedica pochissimo tempo, essendo affaccendato dietro ai suoi studi archeologici. Durante una delle sue passeggiate nel bosco, Jenny giunge al lago degli idoli, importante sito etrusco molto caro al padre a causa delle sue ricerche: qui la ragazza farà la conoscenza di una bimba cieca, che la condurrà nell’istituto in cui vive insieme ad altri bambini, tutti malati come lei. Il posto è inquietante, non bisogna farsi vedere dagli infermieri, e soprattutto c’è una stanza chiusa a chiave da cui provengono lamenti e sferragliare di catene. Jenny lega coi bambini, e passa molto tempo con loro, accorgendosi, pian piano, che intorno al lago degli idoli ci sono molti misteri e stranezze, e che suo padre ed Olga nascondono dei terribili segreti a cui la giovane farà fatica a credere finchè non ci si troverà invischiata dentro nel peggiore dei modi.

Il film si apre già con un clima di mistero imperante: come mai Jenny ha aspettato più di 20 anni per venire in Italia? Come mai il padre non parla mai della sua ex moglie defunta e madre della ragazza, e non va mai a trovarla al cimitero? Cosa si nasconde dietro ai sorrisi dell’enigmatica Olga, e perché si insiste tanto sullo stato di salute di Jenny, tanto da farle prendere ogni giorno una dose massiccia di vitamine in pillole? Perché il dott. Brook è così ossessionato dal lago degli idoli? Che posto è lo strano edificio in cui sono costretti a vivere i bambini malaticci conosciuti da Jenny? L’ambientazione toscana, molto ben fotografata da Cesare Danese, si presta benissimo a dare credibilità al sottofondo storico della vicenda, e fornisce il suggestivo contesto figurativo in cui Paoletti fa muovere i suoi personaggi, tutti descritti in modo molto accurato, portandoci sempre di più all’interno di una realtà spettrale ed inquietante oltre ogni limite.

I personaggi, in questo Neverlake, sono pochi, ma tutti particolarmente incisivi, a partire dalla giovane protagonista, Jenny, interpretata dalla brava attrice inglese Daisy Keeping. Al suo fianco, nel ruolo del padre, una delle figure storiche del nostro cinema di genere, l’attore irlandese David Brandon, che ha raggiunto in Italia una discreta fama grazie alla sua partecipazione a film quali Deliria di Michele Soavi, Le Foto di Gioia e Per Sempre di Lamberto Bava, La Casa 5 di Claudio Fragasso, e molti altri. Brandon è assolutamente perfetto nel ruolo di un uomo enigmatico, che vive tra due fuochi, ma che, nonostante la facciata, ha già perfettamente deciso in che direzione vuole che vadano la sua vita e quella di Jenny, e non ammetterà ripensamenti, a differenza della sua assistente, Olga, interpretata dalla bella attrice americana Joy Tanner, che sul finale proverà a suggerire un’alternativa alla via di terrore che si è venuta a delineare. Devo dire che, nonostante siano assolutamente apprezzabili le interpretazioni dei vari protagonisti di questo torbido dramma familiare, tuttavia noto con disappunto la quasi totale assenza di nomi italiani nel cast, cosa che non può che far riflettere sulla piega che spesso anche i nostri registi si ritrovano a dare ai loro lavori, dando sfogo all’esterofilia dilagante e relegando in un angolino buio i bravi attori che abbiamo in Italia, e che spesso aspettano solo di essere valorizzati perché possa venire riconosciuto il loro talento.

Malinconia patriottica a parte, Paoletti sa il fatto suo, non lo si può non riconoscere. Mette in bocca a Peter, il più grande dei ragazzini malati, una sorta di Edward Cullen metafora di Peter Pan e dei suoi bambini sperduti dell’Isola che non c’è, l’intera chiave del film, e lo fa quasi all’inizio: “L’Orrore non è nient’altro che la Verità”. Con questa massima nelle orecchie, lasciandoci cullare dai versi melliflui e criptici di Percy Shelley, poeta preferito di Jenny, che in Toscana ha risieduto nel 1822, e nelle acque del mare prospiciente a Livorno ha trovato la morte in quello stesso anno, ci si avvia nei boschi affascinanti ma anche sinistri del Monte Falterona, che portano presso il lago degli idoli, soggetto non solo degli studi del dott. Brook ma anche dei sogni e degli incubi di sua figlia, che spesso vi si vede fluttuare all’interno, giù, sempre più giù, verso abissi che nemmeno lei può immaginare dove la condurranno. Per tutta la prima parte il film, se togliamo l’alone di mistero, sembra comunque non decollare mai del tutto, e ci si aspetta una storia piuttosto canonica legata alla mitologia etrusca, che, come quella egiziana, è stata spesso sfruttata nel cinema dell’orrore. Ma non sarà affatto così, e Paoletti ci sorprenderà con un colpo di scena assolutamente non prevedibile, lasciando gli Etruschi semplicemente come sfondo, e concentrandosi su un Orrore tanto reale quanto attuale. Qui siamo lontani anni luce da titoli quali L’Etrusco Uccide Ancora di Armando Crispino del 1972, girato nelle splendide location di Spoleto, Cerveteri, Tarquinia, Frascati e Montefiascone, o Assassinio al Cimitero Etrusco di Christian Plummer del 1982 o La Maschera Etrusca di Ted Nicolau del 2007 , tanto per citare i titoli più noti. In questi film gli Etruschi sono sempre presentati come complici di demoni, o veicoli di forze malvagie ed oscure, quasi che questa Civiltà dovesse essere ricordata solo come quella in cui il culto dei morti guidava ed ispirava ogni aspetto della vita. Invece nel film di Paoletti i veri malvagi sono proprio i nostri contemporanei, le persone che ci vivono attorno, di cui ci fidiamo, mentre gli Etruschi vengono qui citati per i loro culti legati alla vita ed alla guarigione, e se un Demone, anche qui, c’è, tuttavia non viene assolutamente impiegato in senso negativo, anzi, tutt’altro…

Come in molti film di genere, anche qui uno dei personaggi principali è legato ad una malattia rara e certamente non augurabile a nessuno: sto parlando della Fibrodisplasia Ossificante Progressiva, la cosiddetta Malattia dell’Uomo di Pietra, la quale è caratterizzata dall’anomalo sviluppo di tessuto osseo in aree del corpo dove, di norma, questo non è presente; l’osso si può formare, ad esempio, dentro muscoli, tendini, legamenti ed altri tessuti connettivi. Altro non posso dirvi al riguardo, perché il rischio spoiler è sempre dietro l’angolo, ma vi assicuro che il colpo di scena che Paoletti lega a questo personaggio vi lascerà senz’altro stupefatti, tanto più osservando come da una parte emergano tenerezza, amore e dolcezza, e dall’altra orrore, sangue e morte, tutto legato a doppio filo alla medesima situazione. Dopo questa rivelazione il livello di suspense e pathos sale alle stelle, e questa non sarà l’unica grande sorpresa che il regista riserverà a noi ed alla sua sbigottita Jenny. A sottolineare la tensione del film continuamente in ascesa troviamo una colonna sonora evocativa, firmata da Riccardo Amorese, a metà tra le musiche sacre associate agli antichi monasteri cattolici e quelle che vengono da tempo usate per accompagnare le rappresentazioni filmiche dei riti più oscuri ed ancestrali.

Il finale è, si può dire, l’unico momento rilassante del film, dove le carte vengono tutte scoperte e Jenny aprirà gli occhi su tutti gli eventi della sua vita, non solo quelli che le sono capitati una volta giunta in Toscana. Dopo averci tirato come corde di violino per buona parte del film, Paoletti decide di provocarci anche una lacrimuccia, che non sta mai male alla fine di una bella iniezione di adrenalina allo stato puro, come aveva fatto il regista spagnolo Juan Antonio Bayona nel 2007 col suo meraviglioso The Orphanage, che, secondo me, non è stato completamente estraneo alla mente del regista di Neverlake. Una storia sviante, suggestiva, che si conclude non proprio con un’happy ending, ma che, seguendo la logica voluta dal dott. Brook, sarebbe potuta anche andare peggio, a ben guardare. Paoletti dimostra, nella sua opera d’esordio, una buona tecnica registica, ottime idee e una grande forza di volontà, che, con i pochi mezzi a disposizione, gli permettono di portare comunque in fondo, grazie anche alla presenza dell’iconico Brandon, un film di notevole forza visiva, che gioca abilmente tra thriller e ghost story, tra materiale e soprannaturale, con un tocco gore di fulciana memoria ma anche strizzando l’occhio ad autori contemporanei quali Eli Roth e Jaume Balaguerò.

Lunga vita a Paoletti, quindi, in attesa di nuove e graditissime sorprese di questo calibro.

https://www.imdb.com/title/tt3301196/

 

 

Ilaria Monfardini