Una squadra: gli amici tennisti in docu-serie

Avevano e hanno tuttora un bel caratterino gli amici tennisti ritenuti dei fuoriclasse in solitaria, e la docu-serie Una squadra – in onda su Sky Documentaries dal 14 Maggio 2022 e in anteprima nei cinema i giorni 2, 3 e 4 dello stesso mese – compatta nell’unicità di ciascuno sotto la guida carismatica dell’ex asso Pietrangeli. Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli sono stati poi in grado di fare la differenza nell’accanita lotta di squadra per la prestigiosa Coppa Davis dal 1976 al 1980. L’anno mirabilis in forse fino all’ultimo istante, col tangibile rischio di tralignare in anno horribilis, spinge oggi l’esperto produttore Domenico Procacci a trarre linfa dalla schietta passione per il tennis al fine di adattare il libro scritto dallo stesso tycoon della porta accanto sulla conquista ottenuta fuori dalle mura domestiche. Nel Cile reazionario di Pinochet per l’esattezza. Con indosso le magliette rosse fortissimamente volute dal capobranco ufficioso ma cocciuto Panatta.

Non tanto per una mobilitazione ideologica vera e propria. Quanto per dimostrare ai compatrioti progressisti con il dente avvelenato l’autonomia di una squadra formata dai quattro campioni goliardici ed eminentemente concentrati rispetto al pensiero dominante del Paese ospitante. Una squadra è in tal senso un prodotto degno d’attenzione e dei giusti distinguo. La docu-serie in sei puntante è un conto; il film ricavato per promuoverla, dal grande schermo al piccolo, è un altro paio di maniche. Occorre in primo luogo capire se Procacci paghi dazio all’impasse delle mosse azzardate, al pari dell’incauto produttore impersonato dal compianto Kirk Douglas nel capolavoro Il bruto e la bella di Vincent Minnelli combinando un guazzabuglio una volta passato in cabina di regia nella convinzione di essere un factotum, oppure se anche dietro la macchina da presa sa il fatto suo. Senz’alcun dubbio il tennis è un gioco preso molto sul serio. Procacci punta però sull’aspetto ludico ed ergo la tendenza a non prendere nulla o quasi troppo sul serio. Anche perché il troppo stroppia: è cosa nota. Ciò che è meno noto è il carattere di squadra. Lo stesso palesato nel gioco del calcio dalla Sampdoria campione d’Italia nella bella stagione 1990-1991 con il capopopolo Gianluca Vialli sugli scudi.

Ed è ora il turno di Adriano Panatta nelle vesti di ponte ideale tra passato e presente nelle vesti di leader dalla battuta, non solo sotto rete, sempre in canna. Il richiamo assai evidente ad Amici miei, cementato sia in fase di sceneggiatura sia nella fluidità del montaggio attento a cogliere nei match-cut visivi le reazioni mimiche di Panatta al punto di vista dei compagni d’avventura, pone in evidenza la duttilità in tal senso dell’abile Giogiò Franchini. Il richiamo citazionistico invece agisce in apparenza sottobanco. Per poi divenire l’elemento trainante. Quasi un timbro segnaletico. Procacci da par proprio non s’inventa nulla d’eclatante nel governare i vari stilemi chiamati in causa assemblando i filmati di repertorio, le chicche inedite dietro le quinte, l’ampia aneddotica e il lavoro di sottrazione caro al guru francese Robert Bresson. Pur partendo dal principio di dosare i tratti distintivi capaci di catturare appieno l’interesse del pubblico, conquistato a priori dalle imprese sportive, Una squadra attinge poco all’antiretorica di stampo intellettuale. Procacci preferisce l’antiretorica di tipo sentimentale. Ad appannaggio dei cosiddetti burberi benefici.

Il talento di perlustrare attraverso un’elaborata scrittura per immagini il carattere singolare ed ermetico degli atleti votati al raggiungimento del massimo successo richiede ben altra cifra stilistica; avviare dibattiti per approfondire le ragioni profonde degli scontri e degli incontri nel confessionale alieno alle luci dei riflettori degli spogliatoi, idem con patate. Il calore affettivo, celato da qualche schermaglia dialettica dovuta alle pacifiche divergenze di vedute, sprona Procacci ad andare oltre i palesi limiti dell’autore avventizio. La fascinosa rievocazione, la fragranza della sincerità, il ricordo delle continue puntualizzazioni, non sempre in punta di forchetta, rendono comunque godibile la visione di Una squadra. L’alta densità lessicale, il parlato spontaneo, gli slanci, i ricordi dei rievocatori, estranei alla mestizia della ricerca del tempo perduto, strappano franche risate. Lo spettacolo sotto quest’aspetto non fa una grinza. Giacché incrementa il pluralismo dei punti di vista per un verso e la via d’intesa per l’altro. Certe unghiate satiriche in merito al clima politico dell’epoca, sbilanciato ora a sinistra ora a destra, con la priorità di nascondere le magagne, non lasciano tracce particolarmente significative. Una squadra come scandaglio politico e sociale si ferma più volte in superficie. Come inno all’amicizia contraria ai salamelecchi va in profondità. Ed è ciò conta. Specie al botteghino. Procacci n’è perfettamente consapevole. Il valore dell’umorismo per lui è trasversale. E lo è per ogni addetto al mondo dello spettacolo che la sa lunga.

 

 

Massimiliano Serriello