Volami via: Christophe Barratier rifà il tedesco Conta su di me

Di primo acchito Volami via, remake francese del dramedy tedesco Conta su di me di Marc Rothemund, imperniato sull’autentica vicenda del privilegiato e dissoluto trentenne Lars Amend costretto dal padre medico ad assistere il tredicenne Daniel Meyer con la salute a rischio per preservare la cospicua rendita, sembra un film minore.

Ed è in parte vero, considerando la cifra stilistica del regista Christophe Barratier. Avvezzo ad anteporre, anche nella sua opera di maggior successo, Les choristes – I ragazzi del coro, le componenti manieristiche in grado di catturare l’attenzione del pubblico dai gusti semplici, allergico ai dispendi di fosforo, rispetto alle originali tecniche di ripresa. Ben attente a non attingere all’altrui ingegno.

Per poi tralignare le trovate spiazzanti, frutto del carattere d’ingegno creativo, in segni d’ammicco triti e ritriti. Pure in quel caso, infatti, dietro l’inno alla vigoria catartica e aggregatrice della musica, celebrata attraverso canzoni trascinanti, con Marèchal, nous voilà! (“Maresciallo, eccoci!”), plagio sottobanco del tema per orchestra La Margoton Du Bataillon, affiora chiaramente la semplificazione dell’ormai vetusto cult La gabbia degli usignoli di Jean Dréville. Ma stringendo, per tornare all’attualità, siamo di fronte all’ennesimo nano sulle spalle dei giganti, al piccolo pesce nel grande stagno per così dire, oppure le varianti apposte, al di là dei preziosismi caldeggiati dai cinephiles con la puzza sotto il naso, alla fine risultano più persuasive del modello di partenza? I tormentoni da discoteca dell’incipit, lo schianto della fuoriserie in piscina, il selfie scattato dall’irriverente Thomas Reinhardè, a dispetto dei mugugni del genitore chirurgo, l’ovvietà dei trapassi di tono, l’alternanza di timbri mélo ed effetti spassosi rientrano nell’ordinaria amministrazione. Ad alzare il tiro provvede lo skyline dell’hinterland dove lo sfortunato Marcus, afflitto sin dalla nascita dall’impietosa malformazione cardiaca, vive assieme alla premurosa madre. Al contrario del trattamento superficiale ed esornativo riservato al centro di cura e riabilitazione infantile, l’apparizione fugace della crudezza oggettiva concernente la condizione di malato e disadattato, ed ergo lo strazio di essere in pratica tagliati fuori dai piaceri dell’esistenza, piuttosto analoga a quella ghermita dal pur esperto Barry Levinson in Rain man – L’uomo della pioggia, è certo sopperita dall’alacre confronto tra due habitat agli antipodi.

Il timbro spiccio, schietto, spassoso persino usato per trascendere la pigrizia delle idee prese in prestito travalica altresì gli espliciti rimandi a Quasi amici – Intouchables di Olivier Nakache ed Éric Toledano. La formula dello schietto legame stabilito dal nero povero col bianco ricco, invertendo i fattori riguardo l’handicap alla base del messaggio interraziale, mostra di per sé la corda. L’impasse del déjà-vu che mischia le carte alla bell’e meglio cede opportunamente il passo alle riprese sghembe, all’effigie straniante dell’androne di scale del palazzo in periferia, alle inquadrature di quinta e alle sfocate ed empatiche soggettive che non buttano fumo negli occhi. Giacché in linea con gli stilemi neorealisti, suggellati dal sempiterno pedinamento zavattiniano. Peccato che la trama paghi dazio ad alcuni cali di personalità. Riscontrabili nelle carinerie di rito, nello slow motion dei balli lascivi, nella mentalità di una botta e via che fa leva sulla villa paterna. Divenuta una sorta di trappola sessuale. L’inevitabile ritorno a Canossa rappresentava a quel punto un ostacolo quasi impossibile da aggirare senza ricorrere alle situazioni canoniche, ai luoghi comuni in definitiva. Incapaci di trasportare gli spettatori affezionati alla forza significante della scrittura per immagini nell’atmosfera di complicità dell’assunto narrativo. Rendere onore alla fragranza della buona fede ad appannaggio del libro autobiografico Dieses bescheuerte Herz: Über den Mut zu träumen (Quel cuore stupido: sul coraggio di sognare), scritto a quattro mani da Lars Amend e Daniel Meyer sulla scorta dell’incontestabile esperienza formativa maturata palmo a palmo, costituisce una bella gatta da pelare. Barratier, ignaro della natura misteriosa della poesia, prova a rimediare lì per lì col poeticismo.

Un mero ripiego. Appaiato al gusto assai risaputo dell’aneddoto e all’ampio respiro conferito dalla prevedibile geografia emozionale. Però, contro ogni pronostico, nei campi lunghi, in cui la coppia di nuovi amici per la pelle girovaga a tutta birra, e nei siparietti, che mettono alla berlina i preconcetti del vicino alieno alle ragioni del cuore, risiede l’antidoto alle insalubri scorie retoriche. Al posto dei componimenti in versi sottesi al senso di caducità dei rapporti intimi, alla problematica morale legata a doppio filo al processo di stilizzazione degli autori con la “a” maiuscola, prende piede lo stabile processo d’identificazione. Fiore all’occhiello da sempre della fabbrica dei sogni. La genuinità del messaggio didattico, già palpitante in Les choristes – I ragazzi del coro, permea quindi il testo del brano musicale Volami via. Scandito dal pre-adolescente dal futuro incerto con palpiti ed empiti trascinanti. Nemmeno i pezzi di marmo potranno restarne indifferenti. E il merito va riconosciuto alla sete d’amore, con la cotta per l’aggraziata coetanea che rimanda ai romanzi d’appendice, alla passione per il gioco del calcio, all’umanitarismo abituato ad amalgamare gli slanci dell’anima alle risate buffonesche. L’elementare efficacia della sollecitazione etica congiunta agli stereotipi del caso impedisce all’erudita dinamica interiore di connettere la frangia goliardica alla pietas strappalacrime cementatovi l’insita presa di coscienza. La molla scatta ugualmente: i motivi di critica sociale, la congerie di ritrattini ora macchiettistici ora pietistici lasciano spazio, al momento giusto, alla vibrazione figurativa del dolce miraggio. L’ausilio degli affiatati interpreti diviene la ciliegina sulla torta. Quindi il pubblico, bello o brutto, sciamerà via felice dalla visione di Volami via. Grazie ai ritocchi disposti dal cuore sull’intelletto.

 

 

Massimiliano Serriello