Si comincia nella Roma del 1952, ma, nello stesso anno, è nel nord est italiano che si svolge Il signor Diavolo, che segna il ritorno all’horror per il bolognese classe 1938 Pupi Avati, a oltre un decennio dal non disprezzabile Il nascondiglio, del 2007.
Un nord est dove è in corso l’istruttoria di un processo sull’omicidio di un adolescente considerato dalla gente indemoniato e in cui, leggendo i verbali degli interrogatori, è appena partito per Venezia l’ispettore del Ministero Furio Momentè, ovvero Gabriel Lo Giudice.
Ed è da questa semplice situazione di partenza che l’autore de La casa dalle finestre che ridono tira in ballo l’omicida quattordicenne in questione: il Carlo incarnato da Filippo Franchini e che vive la propria serena esistenza insieme all’amico Paolino alias Claut Riccardo; almeno fino al giorno in cui arriva il deforme Emilio, dalle fattezze del Lorenzo Salvatori visto in Detective per caso, il quale sembrerebbe aver sbranato a morsi la sorellina.
Un evento che prima porta Paolino ad umiliare pubblicamente Emilio suscitandone l’ira, tanto che arriva a mettere in mostra una dentatura da fiera, poi quest’ultimo a spintonare il primo durante la cerimonia delle Comunioni, costringendolo inoltre a calpestare la particola cadutagli a terra.
Un “incidente” che non può rappresentare altro che un non indifferente peccato per un paese cresciuto nella fede cattolica e che, come di consueto, Avati sfrutta al fine di dare inizio ad una sequela di sconvolgenti situazioni destinate, tra l’altro, a tirare in ballo Chiara Caselli nei panni di una particolare possidente terriera vedova e Alessandro Haber in quelli di un esorcista.
Soltanto due nomi inclusi in un ricco e valido cast che, tra un Gianni Cavina sagrestano, un Massimo Bonetti giudice, un Lino Capolicchio sacerdote e Andrea Roncato nel ruolo del professor Rubei, viene immerso nei colori desaturati della fotografia a cura di Cesare Bastelli, che sembrano efficacemente conferire al tutto il look di un vecchio ritratto.
Un ricco e valido cast coinvolto in un’indagine dal sapore noir mescolata a quella che si presenta a tutti gli effetti in qualità di favola nera su territorio tricolore, tra l’altro vantante al montaggio il filmmaker indipendente Ivan Zuccon, regista di Colour from the dark e Wrath of the crows.
Una favola nera che, grazie al fondamentale apporto del maestro degli effetti speciali Sergio Stivaletti, raggiunge il proprio apice nella disturbante sequenza odontoiatrica; man mano che individua il suo maggiore punto di forza nella sinistra atmosfera che l’instancabile Pupi si mostra sempre in grado di evocare a dovere.
Anche se un ritmo di narrazione eccessivamente lento e un plot piuttosto prevedibile e scontato finiscono per far sfiorare soltanto la piena sufficienza a Il signor Diavolo, purtroppo non rientrante tra le maggiormente riuscite escursioni nell’ambito del genere per colui che ci regalò Zeder.
Francesco Lomuscio
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